I poteri di Matilde

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Mara Fallini

Note sull’autore

COD: ISBN: 978-88-5539-115-3 Categoria: Tag:

Descrizione

Matilde, figlia di ricchi imprenditori e residente a Milano, è una bambina che possiede il dono della leadership, tanto forte da sfociare in manifestazioni sovrannaturali. Nel 2000, a soli quattro anni, Matilde perde la madre e il suo enorme potere sfugge al suo controllo. Spaventati dalle possibili conseguenze, Susanna (la tata di Matilde) e i suoi due migliori amici, Astrid e Qiang, sottraggono i poteri alla bambina tramite un gioco, promettendo di restituirli al compimento dei suoi diciotto anni. Nel passaggio, il potere della leadership si scinde in tre dimensioni: Susanna ottiene la diplomazia, Qiang la compassione, Astrid la persuasione.

Nel 2016, Matilde ha vent’anni e sta uscendo da una comunità di recupero per trasferirsi a Parigi e iniziare l’università. Non possiede poteri né ricorda di averne avuti. Nel frattempo, Susanna è diventata ambasciatrice, Qiang medico e Astrid è candidata alla presidenza degli Stati Uniti con un programma populista e razzista.

Sarà un percorso difficile, quello di Matilde, per acquistare consapevolezza di sé, dei poteri che le appartengono di diritto e per capire chi le sia veramente amico e le voglia bene.

INCIPIT

Gennaio 2000

 

Giulio Lovato sollevò la cornetta con il cuore in gola. Il telefono di casa rifiutava ostinatamente di mostrare cenni di debolezza per cedere il proprio posto a un moderno cordless e i Lovato, dal canto loro, non nutrivano alcuna fretta di mandarlo in pensione. Giulio tirò nervosamente la spirale che collegava la cornetta al corpo dell’apparecchio dopo aver digitato il numero. Respirava affannosamente, con la bocca aperta. Quando dall’altro capo del filo udì uno stranito «Pronto» scoprì la propria gola secca, tanto che dovette deglutire e leccarsi le labbra diverse volte.

«Susanna, sono Giulio» balbettò, incerto su come proseguire.

«Chi?»

«Sono il signor Lovato.»

Silenzio. «Signor Lovato!» esclamò, dopo qualche istante, una voce femminile «Come sta? È successo qualcosa?»

«No, bene, cioè» Giulio si fermò per prendere un profondo respiro e cercare di articolare una frase di senso compiuto. «Susanna, puoi venire qui e occuparti di Matilde questa notte?» Silenzio. «Ti pagherò qualsiasi cifra.»

«Signor Lovato» rispose Susanna e, da questo continuo rivolgersi a lui ripetendone il cognome, Giulio intuì il suo profondo imbarazzo «io non saprei, non si tratta di soldi, ma è molto tardi, due amici sono a casa mia, non saprei come comportarmi.»

Susanna credette che la linea fosse disturbata quando le sembrò di sentire un pianto all’altro capo del telefono, ma dovette rivedere le sue convinzioni quando a rivolgersi a lei trovò una voce scossa dai singhiozzi. «Puoi portarli. Ma ti prego, vieni. So che è mezzanotte, so che non dovrei chiamarti, ma la situazione…» Giulio non riuscì a terminare la frase, scosso da un ulteriore accesso di pianto.

«Sarò da lei tra venti minuti» disse Susanna. Colmo di riconoscenza verso quella ragazza, Giulio non ebbe nemmeno la forza di esprimerla con il più semplice e banale “grazie” e si limitò a riattaccare.

 

Susanna si mise al volante, con il pigiama sotto il giubbotto di piume d’oca e le scarpe da ginnastica sui calzettoni doppi. Qiang e Astrid, quasi inconsapevolmente, montarono entrambi sul sedile posteriore. «Non hai proprio idea di cosa possa essere successo?» chiese Qiang.

«Sicuramente qualcosa di grave, il padre di Matilde era sconvolto.»

«Credi che abbia scoperto la verità su di lei? Sulla bambina?»

Susanna non rispose, si limitò ad accendere i fari e a concentrarsi sulla strada. Dubitava fortemente che il signor Lovato che, come la moglie, trascorreva con la propria figlia non più di un paio d’ore al giorno, potesse aver scoperto la verità sulla sua natura. E, in ogni caso, non avrebbe avuto senso chiamare lei.

Le costruzioni si diradavano mano a mano che l’automobile si allontanava dalla periferia milanese per addentrarsi nella provincia finché ai lati della strada, appena visibili nel buio, iniziarono a stagliarsi filari di betulle bianche. Il gelo penetrava dalle fessure dei finestrini i cui vetri apparivano ancora ghiacciati in alcuni punti. Susanna realizzò l’imprudenza di mettersi in marcia con l’automobile in una simile condizione, ma non si fermò per cercare di sbrinare i vetri. Lavorava per la famiglia Lovato da tre anni e poteva scommettere che, qualunque cosa rendesse Giulio così sconvolto, avrebbe scioccato anche lei. Il cervello della ragazza respingeva la presa in esame delle eventualità in grado di far piangere un uomo che non aveva mai visto meno che compito ed elegante.

Gentili e formali, i coniugi Lovato avrebbero potuto figurare in una di quelle pubblicità che ritraggono coppie avvenenti e di successo. Co-fondatori di Ja.Lo, azienda di cosmetici, erano riusciti nell’impresa di conferire a questa un prestigio globale nel giro di meno di un decennio dalla sua nascita. Cinque anni dopo l’alba del loro primo capolavoro avevano messo al mondo Matilde che, dall’età di un anno, era cresciuta circondata soprattutto dall’affetto e dalla fantasia di Susanna. Studentessa in lingue alla ricerca di un impiego part-time, questa non aveva esitato a trasformarlo in full-time nel momento del bisogno, inteso ovviamente come necessità – per la verità, piuttosto ricorrente – dei suoi datori di lavoro.

La strada asfaltata sembrava divenire sempre più ampia e nera di fronte ai tre giovani che sfrecciavano a bordo del fuoristrada della madre di Susanna. Il buio pesto e la piccola porzione di suolo illuminata dagli abbaglianti dell’auto, insieme al silenzio tipico della campagna, contribuivano all’atmosfera cupa e ansiogena che si andava intensificando dal momento della loro partenza da casa.

«Perché persone ricche sfondate dovrebbero scegliere di abitare fuori dalla civiltà?» chiese Astrid rompendo il silenzio e fissando fuori dal finestrino alla sua sinistra.

«Aspetta di vedere la casa» rispose Susanna.

I tre ragazzi non dovettero attendere molto. Nel giro di un paio di minuti uno spiazzo asfaltato, circondato da una fitta vegetazione di abeti e betulle, si spalancò davanti a loro. Susanna proseguì fino all’enorme cancellata bianca che si ergeva per diversi metri in altezza e parcheggiò su un lato della piazza.

Qiang e Astrid fissavano l’edificio che occupava la scena di fronte a loro con la bocca spalancata. Oltre il cancello, un giardino costellato da una miriade di cespugli disposti in cerchi sembrava il parco di una dimora signorile d’altri tempi. I lampioncini disposti a intervalli regolari nel prato permettevano di apprezzare, sebbene non in tutta la bellezza che avrebbe consentito la luce del sole, quello spettacolo suggestivo. Susanna premette il dito contro il campanello per il tempo più breve possibile, una frazione di secondo, consapevole che la bambina stava probabilmente dormendo e timorosa di svegliarla. Dopo un tempo altrettanto ridotto, il cancello piccolo si aprì e i tre amici entrarono.

Susanna fece strada lungo un sentiero lastricato di pietre bianche e piatte, costeggiato sui due lati da due filari di abeti nani ai quali una continua e minuziosa opera di giardinaggio aveva conferito una forma perfettamente ovale e affusolata. Il sentiero si apriva in un piccolo spiazzo lastricato allo stesso modo, al centro del quale l’acqua stagnante nel bacino di una fontana rifletteva la luce della luna. Quando la fontana veniva attivata, era la statua equestre che, da entrambi gli zoccoli anteriori che si sollevavano in aria e dalla bocca spalancata in un nitrito selvaggio, spruzzavano acqua. Di fronte alla meraviglia dei suoi amici, Susanna non poté fare a meno di ricordare che era stata proprio lei a convincere la famiglia a sospendere l’irrigazione per la maggior parte del tempo, al fine di evitare quello che si stava rivelando uno spreco eccessivo e ingiustificato di risorse elettriche e idriche.

Susanna fece segno con la mano agli altri di proseguire verso l’ingresso della villa vera e propria quando, appena superata la statuaria fontana, i tre furono raggiunti da un trafelato Giulio Lovato. «Signor Lovato, cos’è successo?» gli si rivolse Susanna saltando ogni convenevole.

Dalla faccia interamente paonazza di Giulio, dai suoi occhi pesti circondati da occhiaie e dalla sua espressione vuota, risultava evidente a chiunque che avesse pianto molto e che stesse compiendo uno sforzo notevole per non ricominciare a farlo. Lui aprì la bocca per articolare una risposta, ma tutto quello che ne uscì fu un vagito, e riprese a singhiozzare rumorosamente, senza lacrime. Susanna rimase di fronte a lui, immobile, tormentata dal dilemma se fosse meglio abbracciare il suo datore di lavoro, con il quale non aveva alcuna intimità, oppure ignorare un uomo palesemente disperato. Infine optò per posargli una mano sulla spalla sinistra, muovendo leggermente i polpastrelli come in una rispettosa e distaccata carezza.

Lovato alzò la testa e guardò Susanna con gli occhi marroni pieni di capillari rotti e stupita riconoscenza. «Susanna, Camille, lei è… lei era…» balbettò, poi prese un profondo respiro e attese qualche secondo, nel silenzio generale. «Camille si è trattenuta a lavoro più a lungo di me oggi, voleva controllare personalmente alcune faccende burocratiche.» Susanna annuì con un gesto ripetuto e deciso del capo, come a dire di proseguire. «Io ho preso la sua macchina e il nostro autista è rimasto ad aspettarla con la berlina e…» Giulio si interruppe nuovamente e una nuova, violenta scarica di singhiozzi lo scosse in tutto il suo possente fisico, dalla testa ai piedi. «Io non so come sia successo, ma entrambi…» L’orrore andava dipingendosi negli occhi sbarrati di Susanna, che cominciava a capire e il cui respiro, che diventava profondo attraverso le narici dilatate, cercava di regolarizzarsi nella paura di venire improvvisamente a mancare. «Io devo andare, resta tu con Matilde. Non l’ho svegliata, non sa niente. Non ho avuto il coraggio, Susanna.»

Susanna tremava. I suoi occhi erano ancora sbarrati, lo sguardo fisso in un punto indefinito del collo di Lovato, più o meno sul pomo di Adamo che non accennava a smettere di vibrare. Un dubbio orribile si stava impadronendo di lei e non sapeva in che modo domandare. «Dove sta… In quale ospedale è ricoverata la signora Janin?» chiese in un bisbiglio, staccando la mano dalla spalla dell’uomo.

Il signor Lovato alzò di nuovo la testa e nel suo sguardo Susanna lesse la risposta che cercava e che temeva. Avrebbe voluto dirgli di andare, che non le doveva alcuna spiegazione, ma le sue labbra tremanti non rispondevano alla sua volontà e la sua voce non superava la soglia dell’ugola. Per questo immaginò quanto difficile fosse per Giulio pronunciare quelle parole. Lui scosse la testa, fissandola negli occhi con un’espressione insana. «Mi hanno chiamato dall’obitorio» scandì con straordinaria chiarezza. Senza aggiungere altro, depositò le chiavi di casa nella mano di Susanna e si allontanò.

Qiang e Astrid fissavano Susanna mentre lei, con lacrime ferme sul bordo degli occhi, che si rifiutavano di colare, si girava e osservava Giulio Lovato allontanarsi lungo il sentiero del suo maestoso giardino. Probabilmente era troppo provato anche per correre. Ma a che scopo affrettarsi, ormai?, rifletté Susanna con orrore. Deglutì, si voltò nuovamente verso la porta di casa e sussultò pesantemente. Matilde, nel suo pigiama verde con i dinosauri, era in piedi sullo scalino più alto davanti alla soglia. «Mati» mormorò Susanna, ricacciando indietro le lacrime che non riusciva a versare e salendo gli scalini per raggiungerla.

«Chi sono loro?» chiese la bambina indicando il ragazzo e la ragazza alle spalle della sua tata.

«Loro sono i miei migliori amici, Astrid e Qiang» rispose la ragazza indicando i due, i quali accennarono un timido saluto, più confusi che mai.

La bambina soffermò il suo sguardo su di loro per qualche istante, senza dire niente, poi guardò in faccia Susanna di nuovo e domandò: «Dove è andato papà? E dov’è la mamma?»

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