Eroe

15,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Alessandro Spocci

Note sull’autore

 

COD: ISBN 978-88-6690-106-8 Categoria: Tag:

Descrizione

Alessandro Vinci è un ex poliziotto insubordinato, uno scrittore di successo, un inguaribile sesso-dipendente. Ambientato nella cruda e sporca realtà della periferia londinese, Eroe è la storia di un quarantenne ancora alla disperata ricerca di sé, di un uomo disperato, di un alcolizzato arrabbiato con il mondo, di una persona troppo sola. È lui il più grande nemico di se stesso: è un eroe.

L’ultimo caso della sua vita, l’indagine sulla morte di un gruppo di prostitute, lo porterà a conoscere la ragazza che lo condurrà al limite dei suoi problemi, al contrasto con l’unica donna che abbia mai amato, ma che a ogni minuto gli pare più lontana.

Il romanzo di Alessandro Spocci è inscrivibile nel generehard boiled, ricco di azione e caratterizzato da un linguaggio secco, essenziale, che esprime in modo efficace la voce dura e la sofferenza del protagonista.

INCIPIT

“Oh sì! Oh sì!”

“Ancora!”

“Ti prego non smettere!”

“Ti prego non smettere!”

Non sono molto lucido e mi sto chiedendo anche questa volta di chi sia questo corpo che ha accettato di farsi sbattere come se fosse un oggetto.

La canna che ho in mano è finita e ormai non ho più molto da calmarmi.

La sbatto con forza sopra al mio letto, come se fosse un gesto naturale nella routine di tutti i miei giorni.

Lei è piegata prona davanti a me, ha capelli biondi e ricci, una voce che ho sentito solo durante le grida di piacere e, nonostante tutto, non so nemmeno che faccia abbia.

Infilarmi dentro di lei mi dà piacere solo quando il filtro della canna è dentro alla mia bocca.

Penso che se al suo posto ci fosse un qualsiasi altro buco non mi renderei conto della differenza.

Certe volte davvero non capisco le donne.

Come fa una ragazza?

Da qui mi sembra carina.

Chissà cosa sta pensando.

Come puoi farti trattare in questo modo da uno come me?

Mi fa sentire una brutta persona, ma la cosa che più mi sconvolge è sentire che le piace più di quanto piaccia a me.

Vivo di questi momenti anche se odio sentirmi in questo modo.

Non sono così da sempre.

Fino a qualche anno fa avevo una moglie.

Caterina è la cosa più bella che abbia mai avuto e la più importante che abbia mai perso.

Ero un poliziotto, di quelli in gamba, ma mi sono infilato in un mondo osceno e macabro che mi ha inghiottito senza possibilità di replica.

Non voglio dire che quello che faccio ora non sia divertente o eccitante visto da fuori, ma sento che la mia candela si sta bruciando dai due lati e tutto quello che mi eccitava così tanto prima, ora è solo una malsana abitudine da cui non riesco più a staccarmi.

Non faccio più il poliziotto.

Sono un eroe secondo molti, non secondo l’unica persona di cui mi sia importato davvero.

La mia fortuna è stata avere il coraggio di buttarmi dove gli altri si sono fermati e salvare la vita di un bambino che altrimenti a quest’ora nemmeno esisterebbe.

È strano come certe azioni possano cambiare molte vite.

Cinque anni fa a Roma è accaduto un episodio di cronaca nera che ha fatto il giro del continente: uno psicopatico di nome Scott Murphy prese in ostaggio una scuola elementare.

Le sei maestre che c’erano dentro furono uccise a sangue freddo.

Quando arrivai io fuori dalla scuola c’erano solo genitori disperati in lacrime.

Il collega che era con me disse che nel giro di dieci minuti sarebbero arrivati i rinforzi con il negoziatore per poter parlare con Murphy.

Ma io l’avevo visto in faccia quello psicopatico, e la gente come lui non lo fa per soldi: divertirsi era il suo unico scopo.

Aveva uno sguardo impressionante, fissava le sue vittime per minuti prima di ucciderle.

Ho immaginato la sensazione di quei bambini.

Forse la loro innocenza sarebbe stata compromessa per sempre in quella giornata così terribile.

Non ebbi dubbi.

Entrai dal retro della scuola da solo, trascinandomi dietro minacce e ordini da parte del mio superiore perché, a detta sua, stavo mettendo in pericolo la vita dei bambini all’interno dell’edificio.

Stronzate!

Gli sono arrivato dietro con l’agilità e i movimenti di un felino e non appena l’ho avuto a tiro gli ho sparato alla testa prima ancora che potesse girarsi per accorgersi che c’ero.

Ricordo ancora il momento dello sparo.

Non avevo mai ucciso una persona.

Temevo il rinculo.

Ero spaventato dalla possibilità di non colpirlo e prendere per sbaglio il bambino che teneva vicino.

Non fu facile la preparazione, ma l’esecuzione fu più semplice del previsto.

Ho premuto il grilletto con la mano destra abbracciata dalla sinistra per limitare al minimo le possibilità d’errore.

Nel momento in cui il suo corpo è caduto a terra è come se il male che aveva dentro si fosse volatilizzato.

Il suo era solo un cadavere, ora: non era più uno psicopatico, ma solo un morto come tutti gli altri.

Ricordo anche l’espressione del bimbo che aveva in braccio.

Lui e gli altri ventidue seduti terrorizzati all’angolo della classe, erano increduli per aver assistito a un omicidio in diretta, ma erano vivi e questa era l’unica cosa che mi interessava davvero.

La cosa che più mi è rimasta impressa è stato il fatto che quel bimbo non si sia messo a piangere.

Era visibilmente sconvolto, ma non versò nemmeno una lacrima di fronte a un omicidio.

Mi avvicinai a lui.

Mi prese per mano prima di lasciarsi prendere in braccio.

Non disse una parola ma è come se mi avesse ringraziato con quei due piccoli occhi che ancora non avevano perso la loro innocenza.

Probabilmente quello sarà uno dei momenti che non dimenticherò per il resto della vita.

Uscimmo dall’edificio insieme, con gli altri bambini terrorizzati subito dietro a noi.

Decine di madri e padri scoppiarono in pianti di gioia mentre correvano verso i loro figli che avevano temuto morti per così tanto tempo.

Ho ricevuto ringraziamenti, omaggi e pensieri da parte di decine di famiglie, ma tutto questo non ha impedito al mio superiore di sospendermi dal mio lavoro per condotta pericolosa.

Mi ricordo ancora cosa disse.

“Non puoi fare sempre di testa tua… E se fossero morti?”

Ma quei ventitré bambini non erano morti: erano vivi, solamente grazie a me.

Lui non lo capiva, o forse era invidioso per non averlo fatto lui.

In quel momento, quando capii che obbedire a un ordine era diventato più importante di salvare una vita, decisi di smettere con quella carriera e ricominciare da capo.

Consigliato da un amico, scrissi un libro su quella vicenda tanto famosa quanto contestata e il mio manoscritto divenne un best seller nel giro di pochi mesi.

Guadagnai una marea di soldi, e avrei avuto tutte le risorse per vivere da signore per almeno altri cent’anni.

Diventai famoso.

Non parlo di quegli squallidi personaggi che si vedono in televisione a fare gli opinionisti alla domenica pomeriggio.

Ero cercato da ogni televisione, e il mio libro fu tradotto anche in inglese, francese e spagnolo.

In un colpo solo, avevo sistemato la mia situazione economica. Mi sposai con quella che ora è la mia ex moglie Caterina e venni definito come il titolo del mio libro: “Eroe”.

Al matrimonio, quando le giurai eterno amore, mi sentii per la prima volta nella mia vita protetto da tutto quello che c’era fuori.

Quella sensazione riesco ancora oggi a immaginarla, ora che lei è lontana e io la posso solo sognare.

Era tutto perfetto.

L’unica cosa che non avevo considerato è il cambiamento di vita che si può avere a passare in quel temporale di momenti.

Sia chiaro che io non mi sono mai sentito più importante di quanto non fossi prima e tanto meno considero chi ha un volto noto come qualcuno di più interessante, però le opportunità intorno a me si moltiplicarono e io cominciai ad abituarmi a vivere in modo diverso.

Innanzitutto le donne.

Ogni sera in cui mi muovevo per andare a bere qualcosa al bar o semplicemente camminavo per strada, c’erano molte ragazze che mi fermavano, che si mostravano disponibili.

Le prime volte mi limitai a firmare autografi e fare fotografie, poi a farmi lasciare numeri di telefono e con il tempo mi sono ritrovato a tradire mia moglie in case diverse tutti i giorni.

Mi vergogno profondamente di questo.

Forse il mio più grande problema è sempre stato il mio ego.

Quando ricevo complimenti sulla mia vita, sulla mia immagine e su quello che ho fatto, il mio ego si gonfia a dismisura e divento così facile da conquistare che mi sento quasi una puttana.

Ho sempre sentito il bisogno di essere apprezzato, fin da quando ero bambino e giocavo con gli amici.

Ho scelto di fare il poliziotto perché sentivo di onorare la mia vita in quel modo e ho smesso di farlo quando quel mondo di corruzione e burocrazia mi ha disilluso portandomi violentemente alla realtà.

Le donne all’inizio le vedevo diversamente da ora.

Ogni donna con cui condividevo un letto, un bacio o anche solo un momento insieme, per quel breve periodo mi riusciva a dare qualcosa di speciale, perché penso di essermi innamorato migliaia di volte di migliaia di donne diverse.

Riuscivo a trovare in ogni ragazza un qualcosa di bello che mettevo al centro del mio interesse: lo sguardo, le gambe, il seno, il modo di parlare o di muoversi, il profumo, il sorriso o il modo di truccarsi.

Per me le donne erano tutte speciali.

Ora ho perso questa visione.

La mia passione è diventata solo un passatempo, sono deluso da ogni donna che voglia passare del tempo in mia compagnia.

Non sono stupide?

Come si può uscire con uno come me?

Essenzialmente, ormai mi sento una persona vuota e tenuta in vita solo dai miei vizi e dai ricordi della donna che mi ha saputo accettare prima che io la trattassi nell’ultimo modo in cui avrei dovuto.

Il bravo poliziotto che faceva le cose a modo suo in nome di ciò che sentiva giusto è diventato uno stronzo viziato che cede a tutte le donne che incontra, che fuma, si droga e beve in quantità spropositata.

Anche gli altri vizi ho cominciato a coltivarli dopo il cambio di vita, a parte il fumo che mi accompagna da quando avevo quindici anni.

Con la droga per fortuna il mio rapporto è solo parziale: dopo un periodo in cui buttavo giù e tiravo su di tutto, ora mi limito solo al fumo e all’erba.

Sono stato lasciato da mia moglie dopo qualche mese e nonostante l’abbia trattata in un modo di cui mi vergogno tutt’ora, lei non ha voluto nulla dal mio divorzio, non ha chiesto un solo centesimo e non si è mai più fatta vedere.

È sempre stata una persona d’oro, e per qualche momento ho pensato fosse un angelo mandato dal cielo per migliorare la mia vita.

Avrei voluto provare ad aggiustare le cose, ma non l’ho mai fatto.

Lei era speciale: il più grande manifesto di come fosse la mia vita prima di tutto il resto.

Era semplice, di una bellezza fine ed elegante che mi faceva impazzire.

Ma soprattutto è l’unica persona di cui io mi sia mai fidato sul serio.

Tutti i soldi del libro li ho spesi in pochi anni, e ora mi ritrovo come una di quelle vecchie celebrità fallite che si buttano via nei vizi della notte e si ritrovano a scopare tutte le sere qualche stupida oca che pensa di ottenere chissà cosa andando con uno come me.

Ogni tanto di notte le scrivo un messaggio, provo a chiamarla, ma senza alcun tipo di risposta.

Capitano anche sere in cui mi metto sotto casa sua da solo, sulla mia Porsche vecchia di tanti anni, e aspetto.

Trascorrono ore senza che succeda nulla, fumo una sigaretta dietro l’altra, ripenso ai tempi passati e alla fine me ne vado con la malinconia di chi ha perso troppo.

Il mio bilancio a quarantadue anni non può essere un granché.

Raggiungo l’orgasmo dando l’ultimo tiro della canna che tengo in mano.

Le faccio capire con uno schiaffo sul sedere che ho finito.

Mi levo il preservativo e vado a prendere la bottiglia di Heineken che ho lasciato aperta mezz’ora fa.

Lei rimane a guardarmi come se davvero si aspettasse un qualsiasi tipo di parola da parte mia.

Io giuro che questi momenti li cancellerei dalla giornata: vorrei davvero esistesse un modo carino per dirle che vorrei vederla fuori da casa mia in pochi secondi, ma non l’ho mai trovato.

La birra ha completamente perso il suo senso.

È sgasata e calda.

“Sono molto stanco” le dico.

“Non posso dormire qui?”

“No, è meglio di no…”

“Cinzia!” mi interrompe lei.

Sì, non so neppure come cazzo si chiama questa ragazza, vorrei solo che se ne fosse già andata per evitare tutte le frasi che mi vomiterà addosso per cinque minuti, ancora piena di me.

“Che stronzo!” mi grida.

“Sei un fallito!”

“Idiota!”

Sapeste quante volte ho sentito queste parole, e ogni volta mi rendo conto che non mi sfiorano nemmeno, come se non me le avessero neanche dette.

Si alza con quelle belle tette al vento, che solo ora riesco a notare per davvero.

Non mi dispiace nemmeno un po’ per lei.

Insomma, sono convinto che, se ti lasci rimorchiare da uno sconosciuto ubriaco in un bar, non puoi pretendere nulla di diverso da questo.

Mi danno il disgusto le donne come questa.

Penso che abbassino il meraviglioso livello che le donne hanno saputo raggiungere nel mio pensiero.

Mi gira la testa e anche a questo sono abituato.

Cammino fino al bagno penzolando come un calzino steso al vento.

Mi lavo i denti cercando di togliermi il sapore di tutta quella merda che ho buttato giù stasera.

Non so neppure se quella ragazza sia già uscita dalla porta o stia ancora sistemando le sue cose.

Ora sento il rumore di una zip che si alza.

È lei che si allaccia i pantaloni.

Ha uno sguardo cattivo.

Penso che se potesse ora mi ammazzerebbe a forza di schiaffi.

Io la guardo senza dirle nulla.

So come si sente.

Ora è il momento in cui si sente trattata come una puttana, in cui la sua autostima è sottozero e vorrebbe un uomo di fianco che le dicesse quanto è divertente e intelligente fuori dalla camera da letto.

Le cose bisogna meritarsele.

Ogni azione ha una conseguenza e io lo so bene.

Mi butto sul letto.

La stanza è uno schifo.

Non so come ho fatto a ridurmi a vivere qui.

Un cazzo di monolocale di quaranta metri, in cui ogni volta trovo qualche oggetto vecchio qua e là.

Sono sollevato a sapere che non è mio ma ci vivo in affitto.

Tutto il letto è sfatto.

Che gran casino. Esce dalla stanza solo ora.

Non la saluto, sarebbe solo una presa in giro.

Sbatte la porta alle sue spalle.

Mentre cerco di capire che ore siano, suona il mio cellulare.

“Pronto.”

“Pronto!”

Riconosco immediatamente la voce di Fred, un mio vecchio amico inglese con cui ho lavorato per un breve periodo qui a Roma.

È una di quelle persone a cui non so dire di no.

“Ciao Fred, che cazzo vuoi a quest’ora?”

“Sempre molto gentile…”

“Non ti ricordavi più i miei modi?”

“So che sei un vecchio animale da notte e immaginavo di trovarti sveglio…”

“Dimmi.”

“Ho bisogno di parlarti di persona, sono a Roma…”

“Che ore sono?”

“Le cinque…”

“Ci vediamo tra mezz’ora per la colazione” gli dico.

“Ok.”

Mi tiro su dal letto.

Apro la finestra per fare entrare un po’ d’aria.

Continuo a sentire il mio organismo che si lamenta per quello che ho dentro ma lo ignoro e mi vesto.

Prendo la mia maglietta nera e la giacca dello stesso colore che avevo su prima.

Mi accendo una sigaretta.

C’è odore di sperma.

Non dovrei fumare in casa, perché poi lascio odore e non va più via, però è più forte di me.

Esco e chiudo la porta, anche se, secondo me, non serve a nulla: un ladro, solo a vedere la mia stanza da fuori, penserebbe che qualche collega lo abbia già anticipato.

È ancora buio.

I camioncini della nettezza urbana stanno passando ora a pulire le strade.

Se penso che non chiudo occhio da quasi due giorni.

Invidio la gente che ha trovato la propria pace.

Arrivo davanti al bar e lui è già seduto.

“Ciao Ale!”

“Ciao Fred.”

Mi siedo di fronte.

È sempre lui, forse un po’ più vecchio.

Ha un fisico importante, da giovane era uno sportivo.

Ora ha la pancia e qualche chilo di troppo ma è sempre un bell’uomo: i suoi capelli brizzolati e il modo di vestirsi elegante gli danno fascino.

“Allora, come procede la vita da scrittore?” mi domanda.

“Parliamo di qualcosa di più interessante…”

“Perché?”

Gli spiego di tutto lo schifo che ho cominciato a frequentare stando qui.

Mi chiede di Caterina, perché lui sa quello che ho provato davvero e, nelle rare occasioni in cui ci vediamo o sentiamo, mi chiede se finalmente la mia anima sia guarita.

Ovviamente la mia risposta è sempre negativa, ma è bello sentire qualcuno interessato davvero e mi piace quell’accento da inglese con la puzza sotto al naso che ha quando domanda.

Lo prendo sempre in giro per questo.

È sposato con una bellissima donna di cui conservo un ottimo ricordo.

Si chiama Sara e, quelle poche volte in cui ho visitato Londra, mi hanno sempre ospitato come se fossi uno di famiglia.

È come se lui vivesse in un modo migliore le occasioni che ho avuto io.

Sara per lui è tutto e ha saputo tenersela stretta e costruire la sua vita insieme a lei, proprio come avrei voluto fare io.

Mi ricordano il periodo in cui stavo con Caterina, le cene insieme, quando lei mi ha letteralmente costretto a prendermi le ferie per andare a visitare Londra, entusiasta all’idea di vedere una città nuova.

Ricordo con piacere come andassero d’accordo Caterina e Sara e come fossimo complici tutti e quattro nelle nostre serate lunghe, bagnate da qualche bottiglia di vino rosso.

Ho sempre visto Fred come un amico, anche se ci sentiamo solo poche volte nel corso di un anno, ma mi piace pensare che nel momento del bisogno potrò sempre contare su di lui.

Caterina lo adorava.

Era il mio unico amico con cui andava d’accordo: la faceva sempre ridere, ma non era volgare e le donne questo lo apprezzano.

Stasera però non sembra dare molto peso alle mie parole.

È preoccupato: glielo leggo in faccia.

Si vede che ha bisogno di dirmi qualcosa.

“Piuttosto dimmi tu di cosa vuoi parlare.”

Cambia tono.

“Ho un problema e ho bisogno di qualcuno con le palle per risolverlo…”

“Dimmi.”

“A Londra il mio distretto è in crisi…”

“Continua.”

“Sono sparite quattro prostitute nelle ultime due settimane e crediamo che le scomparse siano collegate tra loro…”

“E io cosa c’entro?”

“Beh, come poliziotto ufficialmente non posso intervenire in certi ambienti… Posso farlo come privato, ma da solo non posso farcela…”

“Mi stai chiedendo di andare a Londra?”

“Sì… In fondo ti sarai stufato di scoparti delle italiane tutto il giorno…”

“Sei proprio uno stronzo…”

“Sapevo di poterci contare…”

“Come facciamo solo io e te?”

“Ho un infiltrato, uno di cui mi fido…”

Se lui si fida so di poter fare lo stesso.

“Mi basta così.”

“Lo so…”

“Quando si parte?”

“Anche ora…”

“Fammi passare a casa a prendere delle cose.”

Va bene così.

Sono pronto per partire alla cieca con questo vecchio amico che non vedo da troppi anni e mi ricorda maledettamente il passato che ho buttato via.

Ci mettiamo d’accordo di trovarci all’aeroporto tra due ore.

Quel bastardo aveva già comprato anche il mio biglietto d’aereo, convinto che avrei accettato.

Mi conosce come pochi.

Non ho molto da lasciare qui ed è per questo che ho accettato subito, in pochi secondi.

A casa riempio una piccola valigia trolley con mutande, calzini e un po’ di fumo, nascosto come si deve.

Mi sento uno schifo di quindicenne che fuma gli spinelli in discoteca, ma non riesco a farne a meno.

Mi accendo un’altra sigaretta, mi bevo un caffè e me ne vado per chissà quanto da questa casa e da questa città che mi ha succhiato il sangue e mi ha rubato fino in fondo l’anima.

Questo è uno di quei momenti in cui mi piacerebbe vedere Caterina, anche solo per un saluto, per informarla che sto andando proprio a Londra, la sua città preferita, ma questa volta senza di lei.

Rideva sempre quando incontravamo le guardie della regina.

Le osservava per minuti lunghi e rimaneva ogni volta stupita per come riuscivano a stare ferme per tutto quel tempo.

Siamo stati a mangiare in ristoranti caratteristici, alcuni romantici a lume di candela, ma anche in “Fish & Chips” o al “Burger King” e lei ha sempre apprezzato tutto.

Un’altra cosa che adoravo era il suo modo di non farmi sentire obbligato: al ristorante non l’ho mai fatta pagare in tutti gli anni in cui siamo stati insieme, ma non c’è stata una sola volta in cui non abbia fatto il gesto di tirare fuori il portafogli per chiedermi di poterlo fare lei.

Ogni minima cosa ora mi sembra più grande.

Quando la penso non posso far altro che sentirmi un idiota per il modo in cui l’ho persa, ma d’altra parte sono felice che lei abbia avuto l’occasione di vivere la sua vita lontana da me.

Non la merito, o almeno non più.

Fred è sempre puntuale.

Mi aspetta davanti all’ingresso con una ventiquattrore in mano.

“Per le armi ti fornisco io lì…” mi dice.

“Questa me la porto su” rispondo io tirando fuori dalla tasca la mia pistola di fiducia: una Beretta LR calibro 22.

È l’unica cosa che mi è rimasta della mia vita di prima, insieme ai ricordi e ai sensi di colpa, e forse è per questo che ci sono così legato.

La prima volta che la usai fu tanti anni fa, non ricordo nemmeno quanti.

Feci incidere sull’impugnatura le due iniziali “A C”, dopo la prima volta che conobbi Caterina.

A guardarla ora, quei tempi mi paiono ancora più lontani.

È l’oggetto a cui tengo di più, l’unico che mi fa sentire ancora un uomo.

Lui mi dice di dargliela per i controlli, prima di farmi arrestare.

Mi fa ridere il modo in cui si agita.

Saliamo sull’aereo.

È da una vita che non succede.

Mentre ci alziamo velocemente da terra, penso a quanto in questa città non ci sia nessuno a cui interesserà la mia partenza.

“Come mai?” gli domando.

“Cosa?”

“Come mai ti sei preso questa faccenda così a cuore?”

“C’è una mia amica che voglio proteggere…”

“Tua moglie immagino non conosca questa tua amica…”

“No.”

“Capisco.”

Un po’ mi dispiace sapere che anche Fred ha delle cose scomode da nascondere alla moglie.

Mi sembra di rivedere in lui i miei sbagli e gli auguro con tutto il mio cuore di arrivare a un epilogo diverso.

Subito nella mia testa ho collegato il fatto che mi abbia parlato di prostitute, e la cosa non mi piace.

Spero non abbia fatto delle stronzate troppo grosse.

Di solito non è uno che si va a mettere in situazioni ingestibili, anche se questa volta mi sembra davvero diverso dal solito.

Purtroppo, nei rapporti felici è difficile mantenere il giusto equilibrio.

Bisogna sempre essere intelligenti nelle proprie azioni e questo l’ho imparato a caro prezzo sulla mia pelle.

È caduta anche questa certezza.

Non ho voglia comunque di pensarci ora.

Riflettere su questo mi fa venire in mente il mio passato e il mio presente, in un paragone impietoso tra il brav’uomo che ero e il disperato di adesso.

Ho molto sonno e questo mi aiuta a smettere di pensare.

“Ti dovrò dare molte informazioni…” mi dice.

“Ora lasciami dormire…”

Gli occhi mi si chiudono da soli dopo la nottata appena trascorsa.

Il sedile dell’aereo mi pare più comodo di quanto non sia realmente.

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