End Street Band

18,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Stefano Pavesio

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-449-6 Categoria: Tag:

Descrizione

Un anziano signore racconta alle sue nipotine la storia della sua vita da quando, ragazzo, con alcuni coetanei ha fondato la End Street Band, un gruppo rock che ha la sua base in una vecchia casa di campagna, la “ciabotta”. Il narratore si identifica con Mark Knopfler, soprannominato qui Vex, storico chitarrista dei Dire Straits, così come meritano di essere nominati i membri della sua band: Adam Clayton, Kurt Cobain, Angus Young, Mike Portnoy, David Gilmour, Eddie Vedder. E non solo. Perché nello stesso universo spazio-temporale David Bowie gestisce un pub, Faber e Ivan Graziani bussano alla porta una mattina, si incontra Jeff Buckley in riva ad un fiume e Bruce Springsteen ti ingaggia per un tour negli Stati Uniti.

Ma sarà poi tutto realmente così come raccontato? O la narrazione della storia della End Street Band è solo il frutto di una mente in cui tutto il meglio della musica tra gli anni ’80 e ’90 si mescola indistintamente, si fonde in un viaggio tra realtà e fantasia e il protagonista rivive i ricordi a modo suo? E dire che i riferimenti concreti non mancano. Solo leggendo fino in fondo il quadro apparirà chiaro, solo vivendo tre decadi insieme a Vex, Simo, Fax, Bebe, Mimmo, Didi e Holland si potrà finalmente dire cosa è vero e cosa si vorrebbe che lo fosse.

 

INCIPIT

MARK/VEX/KNOPFLER

You can check out any time you like

But you can never leave

(Eagles)

 

«Quand’è che ci racconti quella storia della chitarra?»

Sono lì davanti a me, due bellissime bambine, hanno 9 e 13 anni, se non ricordo male. Talvolta la memoria mi inganna, lo so, ma il fatto che la memoria mi inganni fa sì che spesso io non ricordi che lo fa. Sembra un paradosso, eh? È che la memoria è astuta, ti raggira come vuole, ti presenta i suoi ricordi e te li rende piacevoli o commoventi o disgustosi a seconda di come le gira in quel momento. E non ti resta che adeguarti, tanto più cerchi di ricordare i dettagli e più ti sfuggono, tanto vale lasciare che le immagini si creino da sé. E poi, in fin dei conti, se hanno più o meno 10 anni o più o meno 20 che differenza fa? Non sempre le persone sono quel che sono, il più delle volte sono come le vedi.

Il punto qui è un altro: vogliono la storia. E non una storia qualunque, vogliono quella della chitarra. Il che implica che vogliono la storia della band, vale a dire che vogliono la mia storia. Colpa mia, d’altra parte gliel’ho promessa un sacco di volte, sono le mie nipotine, quando vengono a trovarmi illuminano la mia vita, non posso certo deluderle. E se poi non tornassero più? Se si stancassero delle mie false promesse? Finora l’idea della storia ha funzionato, ha fatto in modo che tornassero, la curiosità è come una droga, specie per i bimbi. E se una volta raccontata non fosse di loro gradimento? Oppure peggio, se una volta nota non avessero più alcun motivo per tornare a farmi visita? Non so se riuscirei a sopportarlo. E c’è un’altra cosa: non so se sono in grado di raccontarla senza piangere. Come dicevo i ricordi sono una bestia grama, un po’ come le emozioni. E a me non piace piangere, soprattutto di fronte ad altre persone.

Solo che per raccontare devo prima ricordare.

E i ricordi, pensateci bene, sono sempre brutti. Perché se il ricordo è inerente a qualcosa di spiacevole, allora è ovvio che è un brutto ricordo. Ma se il ricordo ha a che fare con qualcosa di piacevole è comunque un brutto ricordo, perché sai che quel piacere appartiene al passato e non tornerà più. Un’amnesia totale non sarebbe poi un’idea così sbagliata, non vi pare?

Sì, lo so, qualcuno dirà che senza i nostri ricordi non siamo nulla, sarebbe come essere senza storia. Come puoi ogni giorno svegliarti e non ricordare nulla? Il tuo nome, le parole che hai imparato, gli amici, gli affetti, le poesie, la strada verso casa, le canzoni. Inverosimile. Certo. Resta però il fatto che i ricordi, quasi sempre, fanno male.

Le canzoni. Già, le canzoni. E la chitarra con cui le ho scritte. E tutti gli altri, quelli della band.

Eccola qui la storia, La Storia. Quella che vogliono sentire. Quella che ho promesso loro e che non so se ho il coraggio di raccontare.

«Allora, nonno?» incalza Alanis, la più piccina, capelli neri e carattere indomito. Argento vivo.

«Sì, dai, ce l’hai promesso che oggi l’avresti fatto. Ce lo prometti sempre, ma oggi non puoi più tirarti indietro» dice Dolores, la più grande, con i suoi capelli rossi e le sue tenerissime efelidi. Lei è più posata, più riflessiva, ma non concede tregua.

Mi limito a osservarle attraverso i miei occhi stanchi e innamorati, sono splendide. Sono il frutto della mia autodistruzione, ma le adoro, vedendole lì davanti a me non nutro remora alcuna per i miei errori, poteva andare diversamente, potevo essere in un luogo migliore oggi o comunque stare meglio, ma il passato non si disfa, ogni scelta genera le sue figlie, bisogna accettarlo. E se il risultato dei miei errori sono quelle due splendide creature, allora sono lieto di aver sbagliato.

«Va bene Alanis, andiamocene, tanto vedi che ci prende in giro, come sempre» dice a un tratto Dolores alzandosi e prendendo la sorellina per mano.

«Sì e non torniamo più!» ribatte la piccola facendomi una linguaccia.

Hanno l’aria seria. Per quanto giovani possano essere, sono assolutamente determinate. Le perderò. Non posso permettermelo.

«Jurassic Strat» esclamo prima che raggiungano la porta.

«Cosa?» domandano all’unisono arrestandosi con un piede sospeso e voltandosi.

«Jurassic Strat» scandisco più lentamente guardandole negli occhi. «È il nome della mia chitarra, la più bella chitarra del mondo. Fender Stratocaster Sunburst del ’54.»

Le due sorelline si guardano e sorridono complici, tornano sui loro passi e si siedono attendendo il prosieguo. Ormai è fatta, la diga ha ceduto e non c’è più modo di arginare la falla.

Racconterò. Andrò a ritroso nel tempo, in un tempo lontano e distante, magico e radioso e oscuro e doloroso. Come solo la vita sa essere.

Tornerò indietro, sì, come un salto nel buio, nel nero, son stato via troppo tempo, in fin dei conti son felice di tornare. Aveva ragione il mio amico, il mio maestro, proprio come l’ha scritta lui, back in black I’ve been too long I’m glad to be back.

Le canzoni han sempre ragione, non puoi fregarle.

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