E il Diavolo l’amò

15,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Angelica Intersimone

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-123-5 Categoria: Tag:

Descrizione

Anche il Diavolo, a volte, si innamora, come succede a Lucky(feres) quando incontra la giovanissima, ingenua Nelli. La Regina delle anguane, le misteriose sirene d’acqua dolce, però vuole per sé l’affascinante angelo nero e lo costringe a dimenticare l’amore umano, ma non ci riuscirà del tutto… Anni dopo, toccherà a Pietro sciogliere l’incantesimo e permettere a Nelli – sua nonna – e a Lucky di ritrovare finalmente il loro amore.

Ambientato in una Torino “magica” e in un paesino, Gorgo al Monticano, tra filari che offrono un elisir di lunga vita e stagni placidi ombreggiati da salici e fioriti di ninfee, dove nuotano le anguane, il racconto si dipana leggero, presentando personaggi simpatici e singolari e costruendo nella mente del lettore immagini luminose, colorate, sensuali.

INCIPIT

All’imbrunire il sole dipingeva lunghe striature rosa nel cielo: è l’ultimo ricordo che ho di mio nonno. Chino sui suoi grappoli d’uva, pareva accarezzarli, mi guardò lento con il viso segnato dal tempo, dalla pioggia, dal freddo e dal vento.

Mi rammentò una mappa tratteggiata su una pergamena antica e preziosa. D’altronde, le rughe non sono forse lo specchio del nostro passato?

“Bravo Pietro! Oggi, ti sei dato da fare. L’astuzia appartiene ai tuoi occhi e al tuo palato, l’ho intuito! Un giorno sarai un bravo enologo. Ah se ci fosse tua madre! Ne sarebbe fiera…”

Tra me, Maria e Lucrezia, passavano tre anni di diversità.

Nostro padre non l’abbiamo mai conosciuto, nonno Mario ci raccontò che era un operaio agricolo stagionale, uno di quelli che finita la vendemmia se ne andava.

Una notte d’estate con la luna che illuminava i filari, la mamma se ne innamorò.

Bea diceva sempre che noi eravamo stati concepiti lì, fra i tralci delle viti.

Lei era il nostro riferimento, la nostra seconda mamma, l’amica, la confidente; il nostro tutto. Noi, quando volevamo sapere, andavamo da Bea. Io, Maria e Lucrezia, aspettavamo che il nonno andasse a dormire, e quando sentivamo l’ultimo gradino della scala scricchiolare e la porta richiudersi tutti e tre ci guardavamo spizzicando le ultime briciole della torta fatta con uova, zucchero, farina di grano, radicchio rosso e fecola.

Impazienti osservavamo Bea affaccendata ai fornelli a preparare il pranzo e la cena per il giorno dopo.

Il silenzio calava avvolgente insinuandosi nelle ossa, nei muscoli, dentro il cuore, facendolo fremere.

Lei già sapeva cosa volevamo…

Quella sera si voltò morbida e mi fissò negli occhi, e io di rimando la guardai estasiato.

Una goccia di sudore le stava scendendo lenta fra l’incavo dei seni, sognai di toccarla. Sgranando gli occhi la vidi nascondersi dentro la scollatura del vestito di cotone bianco. Quanto avrei voluto essere quella goccia lenta, decidere se scendere percorrendo il morbido sentiero o scivolare veloce per poi arrivare alla meta.

Ancora adesso che ho raggiunto da poco la mia seconda giovinezza — amo definire così i miei cinquant’anni — e mi capita di vedere una donna vestita di bianco lungo le vie torinesi, mi viene in mente lei.

Bea tolse le pentole dalla stufa guardando fuori dalla finestra, e io mi accorsi che i suoi occhi avevano acquisito un’espressione sorniona.

“Adesso vi porto in un posto incantato e vi racconterò la prima metà di una favola, l’altra ve la narrerò tra quarant’anni!”

Lucrezia sbottò.

“Sei una strega con l’aspetto da fata, perché mai dovremmo aspettare così a lungo?”

Bea la baciò sulla fronte e poi ci squadrò con gli occhi eccitati.

“Perché, perché lo dico io e basta!”

Ci invitò a uscire conducendoci alle scuderie e, una volta arrivati, ci disse di prendere delle coperte per i cavalli.

Fu il turno di Maria…

“Non mi sembra che ci sia tutto questo freddo!”

“Non ti fare ingannare dall’ora, impara a pensare anche al dopo!”

Lucrezia, la maggiore fra noi tre, stravedeva per Bea e obbedì immediatamente; Maria e io non avemmo il coraggio di tirarci indietro. Prese le coperte, ci guardò soddisfatta.

“Ora ci aspettano le viti…”

Fui io allora a protestare:

“Le viti sono quasi tutte senza grappoli, di cosa potrebbero avere bisogno?”

Bea rise divertita e mi guardò maliziosa.

“Di calore e di allegria, come ne abbiamo bisogno tutti!”

Nei suoi occhi verdi mi parve di immaginare il profumo dei prati in primavera, i colori e gli odori mi rapirono.

Raggiunsi vette che non avevo mai scalato, mondi che non sapevo esistessero.

Mi sentii un esploratore con l’impazienza di partire, vedere, assaggiare…

Ah, quella donna era una giovane femmina! Florida e attraente, una donna di campagna schietta, dura come il legno, a volte prendeva fuoco come i ceppi nella stufa.

Curata come un giardino, la pelle morbida come burro.

Quella donna era un connubio di odori, colori e persone.

Sentimmo il vento entrare lungo le fessure delle travi. Bea ci fece cenno di seguirla.

La maggior parte dei braccianti erano già lì indaffarati come piccole api laboriose, per compiacere la loro regina… Bea era una sovrana per loro e per noi tutti.

Aveva un modo di fare che ti ammaliava, e allo stesso tempo non transigeva sul fatto che l’ordine dato non fosse eseguito alla perfezione.

Mi accorsi, o meglio percepii, un calore misto all’allegria, che s’impossessava delle viti entrando nei cuori di quelle persone e nel mio; quasi abbracciandoci come una madre premurosa.

Alzai lo sguardo e la luna gibbosa, sorridente, complice ci osservava curiosa.

Il paesaggio le rubò il colore dell’argento e del blu.

Bea mi afferrò la mano ridendo; la sua risata ricordava il rumore delle gocce di cristallo appese sullo stipite della stanza da letto.

I grappoli d’uva furono salvati dalla sua acuta amorevolezza verso la natura.

La fiaba che ci raccontò fu una favola muta, fatta di gesti, l’amore che provava per quel luogo lo toccai con mano.

Cercò di trasmetterlo a me e alle mie sorelle in una notte.

Tornammo al casolare; Teodoro, il nostro gallo cedrone, ci diede il benvenuto con un chicchiriare acuto e prolungato. Maria si tolse una scarpa e gliela lanciò colpendolo in pieno, qualche piuma volò per aria.

Il gallo, dopo essersi ripreso dallo spavento, la attaccò, cercando di becchettarle le caviglie.

Si aprirono le gelosie di una finestra, il nonno ci guardò stropicciandosi gli occhi dal sonno.

“Che diavolo succede?”

“Nulla, stai tranquillo! Mario, torna a dormire che è ancora presto” urlò a gran voce Bea.

Maria lo salutò con la mano.

“Siamo andati a salvare i grappoli d’uva, nonno!”

“Santa Madonna, me ne ero completamente dimenticato!”

Bea insistette facendogli cenno con la mano.

“Va tutto bene, Mario, torna a dormire!”

Entrammo in casa e Bea tirò fuori la torta di mirtilli e uva spina; prese una candelina e gliela mise sopra accendendola.

Sentimmo il nonno scendere le scale, guardò noi e poi il suo sguardo andò alla torta, Bea lo abbracciò.

“Tanti auguri Mario, da oggi sei un anno più vecchio e più brontolone… ah, povera me!”

Al nonno mancò poco che si commuovesse.

“Che cosa farei senza di te, dolce amica, e senza di voi, nipoti!”

Ci sedemmo a mangiare la torta con golosità, anche se la stanchezza della notte trascorsa alla vigna iniziava a farsi sentire. Gli occhi si chiudevano dal sonno.

Bea aspettò che finissimo la torta e poi ci mandò subito a letto.

Io dormii poco e male, quel poco che riuscii ad appisolarmi, era un continuo sognarla… Bea che mi baciava, Bea che mi accarezzava, fu una tortura!

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