Descrizione
RECENSIONE di Annalisa Trentin
“Un giorno, aprendo la posta elettronica, ho trovato una mail molto strana. L’avrei cestinata come spam, ma il mittente era il mio amico Arturo, compagno del liceo e del Politecnico.
Poiché non lo vedevo da parecchi mesi, il mio primo pensiero è stato che nel frattempo fosse successo qualcosa di brutto alla sua salute mentale.
Poi ho riletto la mail, ho aperto l’allegato, mi sono sforzata di far lavorare i miei pochi neuroni… e ho capito.” Inizia così l’avvincente romanzo Dal nero al bianco, che si profila essere una lettura che non riusciremo ad abbandonare, fino a quando non saremo certi che i due protagonisti, Nadia e Andrea, riusciranno a rincontrarsi e ad amarsi. Questa loro ricerca va avanti da secoli, dal lontano 14 d.C., quando cioè Sabino, vate dell’esercito romano, in punto di morte, per vendicarsi di Druso, che gli ha offerto del vino dal veleno fatale, scaglia contro di lui e la sua stirpe una solenne maledizione: per duemila anni i suoi discendenti, a causa della loro stessa codardia e del loro egoismo, sarebbero stati condannati a soffrire e a perdere l’amore. Druso avrebbe avuto altri due figli, due gemelli… e da lì avrebbe avuto inizio la sventurata sorte.
Nadia e Andrea si incontrano nuovamente nel 1366, in Valacchia. Lui ospite dell’anziano conte Vişan, di cui Nadia è la bellissima e giovanissima sposa. Si accendono di improvvisa passione, invincibile come il fato, ma il loro destino è segnato: le loro strade si dividono. Nadia perirà per mano del marito tradito e Andrea, appresa la notizia della sua morte e divorato dal rimorso di non aver dichiarato in tempo il suo amore alla giovane, andrà coraggiosamente incontro a un sacrificio purificatore.
Le due anime elette si ritroveranno ancora in Inghilterra, nel 1917. La russa Nadezhda, altera e di straordinaria avvenenza, si innamora e si sposa con Andrew, giovane di buona famiglia. Sarà una storia segnata da avventure e da prove, soprattutto di fedeltà, ma anche di nobiltà d’animo, di coraggio e di intelligenza. Il caso dissemina sul cammino dei protagonisti pericoli, situazioni drammatiche e desiderio di vendetta. I due giovani si amano, ma la maledizione millenaria fa il suo corso, come un’incurabile malattia non presuppone rimedio e la loro separazione per via dell’egoismo di Nadezhda, che non sa arrestare la sua sete di vendetta, è irreparabile.
Poi, il romanzo torna al 2010…
Dal nero al bianco è il primo romanzo di Nadia Dovano, talentuoso acquisto della scuderia EEE-book, la cui penna riesce a emozionarci con uno scritto che sa di epica, ricreato tra mito, realtà e fantasia. Con padronanza di stile, ritmo e ironia, semplicità e immediatezza, la Dovano ci introduce in un mondo antico e moderno, sentimentale e avventuroso, facendoci vivere le gesta e le emozioni di un fitto gruppo di personaggi densi e avvolgenti. Edito nel 2012, anno che verrà ricordato per la crisi sociale e per il vuoto di valori, questa favola eroica mantiene la sua promessa di dilettare i lettori, regalando quell’ideale di leggerezza e bellezza che la realtà contemporanea va negando. Imperdibile.
Annalisa Trentin
INCIPIT
Torino, 5 maggio 2010
“E questo che diavolo è?” si chiese Nadeschka. Troppo delirante per essere una mail ordinaria, troppo particolare per essere spam. E poi ultimamente il filtro anti spam della sua azienda funzionava a meraviglia, non era più arrivato un messaggio indesiderato da mesi.
Tornò a rileggere il testo “Hi Nadeschka… you have l’intellighenzia of polish females studying letters in Delft und the grace of a Basket champion of Achen”. Un’accozzaglia di lingue e concetti strampalati, evidentemente, ma non poté fare a meno di meravigliarsi per l’accostamento fra Aachen, cioè Aquisgrana, la città dove aveva fatto il progetto ERASMUS qualche anno prima, e il giocatore di basket, che altri non poteva essere che Massimo, il suo fidanzato storico del liceo.
Meccanicamente diede uno sguardo allo colonna Mittente: Andreja.
“Non è possibile!” esclamò con così tanta veemenza da far voltare i colleghi. Che fosse proprio il suo Andreja? Ma come aveva avuto il suo indirizzo e-mail del lavoro? Lei aveva ottenuto quel posto solo un paio d’anni prima, invece lui era sparito dalla sua vita da otto, e non avevano amici comuni.
Andreja, mio Andreja, sei proprio tu? Dove sei? Cosa fai? Era tanto che non pensava più a lui. Per sopravvivere, se l’era imposto con ferrea autodisciplina, e alla lunga c’era riuscita, perché, ogni volta che l’immagine del ragazzo riaffiorava, sentiva un vuoto così grande da iniziare a tremare. Come in quel momento.
Si erano conosciuti in prima media, lui ancora bambino, lei già molto più matura, e più alta di lui di una spanna. Andrea si era preso una brutta cotta adolescenziale, Nadia gli aveva risposto che avrebbero fatto l’articolo il. Lui se n’era fatto una ragione ed erano diventati amici; si trovavano spesso a studiare e lei andava a vedere le sue partite di calcio.
Andrea aveva una sorellina di tre anni che gli storpiava il nome, quindi per Nadia lui era diventato Andreja, che faceva pari con Nadeschka, soprannome che lui a sua volta le aveva affibbiato dopo che era stata una settimana a Mosca e San Pietroburgo con i genitori, utilizzando, in realtà, una grafia russa errata.
Dopo le medie si erano persi di vista: lei si era iscritta al liceo scientifico, lui all’istituto tecnico, ma il destino li aveva fatti incontrare nuovamente al primo anno di ingegneria. Si erano abbracciati, in un misto di nostalgia e attrazione; inizialmente era stata la nostalgia ad avere la meglio, e in nome della vecchia amicizia avevano ripreso a studiare insieme. E poi… E poi non voglio pensarci, non posso pensarci!
Nadeschka raddrizzò la schiena e si impose di respirare regolarmente, per scacciare la tensione che il pensiero di Andrea ogni volta le procurava. Tornò a rivolgere l’attenzione alla mail.
Quindi, ammesso che fosse lui il mittente, poteva sapere di Massimo, ma non del progetto ERASMUS. Come diavolo aveva fatto ad avere improvvisamente tutte quelle informazioni su di lei?
Il file conteneva un allegato, Katyn.ppt, e lei decise di aprirlo, in barba a tutte le avvertenze sulla sicurezza informatica. Guardò sempre più stupita l’unica slide, un’altra accozzaglia, questa volta di fotografie.
“Piazza Vittorio Veneto di Torino; ok, questa è facile. Però chissà se l’angelo e la Madonna di spalle significano qualcosa di particolare?” cominciò a meditare. “Quell’altra immagine incastonata sembra un tempio induista.”
Nella parte bassa della pagina c’era una tipica immagine da film; a lei ricordava le atmosfere delle pellicole di spionaggio, ma era sfocata e dilatata, quindi non riuscì a farsi un’idea più precisa.
Sulla mano e sulla testa della Madonna c’erano rispettivamente un fiocco di neve e un viso maschile, ma erano troppo piccoli per distinguere i dettagli, così Nadeschka ingrandì l’immagine.
Nel passaggio alle dimensioni maggiori, per una frazione di secondo, comparvero altre fotografie e un testo strano. A cosa stiamo giocando? Alle matrioske?
Dopo una breve occhiata al volto d’uomo, che aveva l’aria di essere un giovane Lenin, tornò alla visualizzazione a tutta pagina, e cominciò a cancellare le immagini in primo piano per vedere cosa c’era sotto. Comparvero tre tipi di fiori: un tulipano viola, un piccolo narciso giallo seminascosto dal verde delle foglie, e un biancospino. Andreja amante dei fiori? Questa mi giunge nuova! Purtroppo nemmeno lei era una grande conoscitrice del linguaggio floreale, e, anche se era sicura che sotto la scelta di quei particolari esemplari ci fosse una ragione precisa, non aveva gli strumenti per comprenderla.
Buttò via anche quelle immagini per accedere al mosaico di fotografie che si celava sotto. Due bellissimi cigni, uno bianco e un nero, che intersecavano i colli aggraziati nell’acqua tranquilla di uno stagno. Un manifesto stile anni ‘40, con una bionda sull’attenti e un testo in inglese inneggiante alla censura di stampa. Un’aspirante velina a cui veniva immersa le testa in una ciotola d’acqua. Il simbolo della radioattività. Un bambino nordafricano o mediorientale con una gamba insanguinata in braccio a un uomo, e una donna il con il classico velo islamico. Infine Ilaria Alpi con il suo cameraman, di cui in quel momento le sfuggiva il nome, e in alto ripetuto il testo della mail, Hi Nadeschka eccetera eccetera.
“Non so chi tu sia e cosa voglia da me, ma Ilaria Alpi non è il modello a cui mi ispiro. Non ci tengo a diventare un’eroina e una targa commemorativa!” pensò richiudendo il file con un leggero brivido.
Nel frattempo però Andreja le aveva mandato un altro messaggio, o meglio, solo l’oggetto della mail: “аМ0Р в1НЧ1Т 0hMHИЭТ”.
“Qui stiamo cominciando a vaneggiare” pensò. “E comunque Nadeschka è un soprannome, io mica lo so il russo!”
Però, nonostante quei messaggi fossero così strampalati, ormai lei era intrigata, c’era poco da fare. Il lavoro avrebbe dovuto attendere. Rilesse il testo cirillico e provò a traslitterare con le poche conoscenze che aveva “Amor vincit omnia.” Il che la riportava a una cassetta dei Deep Purple che le aveva fatto Massimo. Non si ricordava bene, era solo un flash, ma c’era quella scritta latina, anche se il titolo inglese doveva essere qualcosa tipo Love Conquers All. “Non può trattarsi di un altro riferimento incrociato” si disse.
“Non può, infatti” stabilì poco dopo. “C’è scritto: Amor vincit Ohmniet. Ohmniet? Latino non è di sicuro! Ohm è l’unità di misura della resistenza elettrica, cosa c’entra con l’amore? A meno che non sia un mix di piemontese e russo e si riferisca al fatto che la mia vita sentimentale sia tristemente vuota” concluse con una smorfia pensosa. “Non c’era proprio bisogno che mi facessi ricordare le mie disgrazie, Andrea. O vuoi semplicemente dirmi che non si può resistere all’amore? Vuoi tornare alla carica?”
La cosa non sarebbe stata troppo male. Fra l’altro, lei moriva dalla curiosità di sapere che aspetto avesse il ragazzo dopo tutto quel tempo. Se già a vent’anni era stato molto promettente, così sportivo e muscoloso, a ventotto, con il fascino della maturità e dell’esperienza, doveva essere assolutamente irresistibile.
“Nadia!” le urlò il collega per la terza volta.
“Cosa?” chiese lei, riemergendo a fatica nel mondo reale.
“La riunione! Ci vuoi venire o no?”
“Oh, accidenti, me n’ero completamente dimenticata!” Andreja, mi spiace, ma la tua risposta dovrà attendere.
Tornata in ufficio trovò una terza mail. Oggetto: ??: ?????? ? ??????. Testo: Я нашел более; может быть! быть в курсе. أندريه تحياتي
“Sentimi bene, Andrea! Io mica posso perder tempo tutto il giorno come voi giocatori di calcio! Ho dei progetti da seguire! Ho un laurea e non guadagno il decimo di quello che guadagnate voi per correre dietro a un pallone! Abbiamo finito con gli indovinelli?” si sfogò fra sé e sé, ma ormai il richiamo del mistero era troppo forte. Cercò su internet un sito con l’alfabeto cirillico completo e provò a traslitterare. Niente di comprensibile. Vuoi vedere che è davvero russo, questa volta?
Tentò allora con un traduttore on-line, che le restituì: Ho trovato di più, forse! Essere consapevoli! Ah, così ha veramente senso!
Passò alla scritta in arabo: Saluti André. Beh, per me l’André per antonomasia è quello di Lady Oscar, ma almeno questa parte è chiara. Adesso però gli rispondo io! Se proprio ha tempo da perdere, possiamo trovarci a discutere di fronte a champagne e caviale, visto che sembra così attratto dal mondo russo…
“Nadia!” Aveva appena finito di formulare il pensiero che, come per magia, il suo dirigente, l’ingegner Michele Russo, si era materializzato sulla soglia, e la guardava con le sopracciglia aggrottate.
Oh, no! “Sì?”
“Vorrei rivedere con te i calcoli del nuovo progetto, prima del sopralluogo di oggi pomeriggio.”
Senza darle il tempo di rispondere, si diresse verso la sedia libera al suo fianco, mentre lei chiudeva freneticamente tutti i programmi che aveva aperto per seguire il delirio di Andreja.
Purtroppo il capo non la mollò per tutto il giorno: prima il lavoro al computer, poi il pranzo in mensa insieme, a seguire l’incontro con altri colleghi nell’ufficio dirigenziale e, infine, direttamente il sopralluogo.
Quando la visita terminò, erano quasi le sette di sera, e Nadia escluse di tornare ancora in ufficio.
A quel punto, Russo le chiese molto casualmente “Perché non andiamo a prenderci un aperitivo?”
Per lo sconcerto lei rischiò di cadere dai tacchi a spillo, ed ebbe appena la presenza di spirito per imbastire una bugia. “Grazie, ma esco a cena con degli amici che non vedo da tempo…”
Quando fu sola cominciò a imprecare. “Se l’è studiata proprio bene! Tampinarmi tutto il giorno in maniera così spudorata per invitarmi a uscire la sera!”
Sarebbe anche stato lusinghiero ricevere le attenzioni di un giovane dirigente brillante e affascinante, se solo lui non fosse stato sposato e padre di tre figli. Prima o poi Nadeschka avrebbe dovuto pensare a come mettere un freno alle avances del capo, se non voleva trovarsi in una situazione spiacevole sul lavoro.
“Tutti i torti non glieli si può dare” pensò strizzandosi l’occhio nello specchio dell’ascensore. Per anni era stata il brutto anatroccolo, poi, quasi improvvisamente, era spuntato il cigno. La studentessa che si nascondeva sotto strati di abiti informi aveva deciso di buttare alle ortiche jeans slabbrati e maglioni di tre taglie più grandi, aveva imparato a camminare su tacchi vertiginosi, a truccarsi in modo da far risaltare lo sguardo assassino degli occhi verdi da gatta, a vestirsi in maniera provocante e a tollerare gli sguardi che gli uomini le lanciavano quando indossava minigonne da urlo. Se mi vedesse Andreja adesso!
“Accidenti!” proruppe di cuore. “L’indirizzo e-mail di Andreja! Non me lo sono appuntato!” Alle sette di sera, in tutta la palazzina, non ci sarebbe stato nessuno per dettarglielo al telefono, sempre ammesso che fosse disposta a lasciar sbirciare il PC a un estraneo. Dopo otto anni di lontananza, trovava stranamente difficile aspettare anche solo un giorno di più.
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