Descrizione
Dal fallito tentativo di uccisione di un cavallo da corsa, commissionata da un misterioso personaggio, deriva una serie di eventi che coinvolge persone che neanche si conoscono, ma la cui concatenazione avrà poi ripercussioni essenziali e fondamentali nella vita di ognuno di loro, facendoli convergere nel finale comune.
In questo romanzo hard boiled non ci sono eroi positivi o negativi, non ci sono vincitori né vinti, ma soltanto la vita: cinica, crudele, spietata, incomprensibile. Unica chance dei personaggi è quella di decidere come affrontare le proposte del fato e, sulla loro sopravvivenza, influiscono anche le scelte degli altri, come nella realtà.
Lo stile sincopato, volutamente frammentato e aritmico, è lo stile della vita quotidiana: che ti dà e ti toglie senza preavviso, senza spiegazioni.
E senza alcun motivo i buoni diventano cattivi e viceversa.
Perché in ognuno di noi c’è buono e cattivo.
Sta a noi miscelare la nostra esistenza.
INCIPIT
Era stata una notte ventosa.
Quel dannato fottuto vento.
Lo amava.
Gli piaceva sentire i fischi mentre passava fra le ante delle finestre.
Le lasciava aperte apposta.
Gli venivano in mente i pomeriggi trascorsi in estate in Italia, in Sardegna, precisamente.
Amava affacciarsi dal balcone per guardare fuori, col cielo plumbeo che sovrastava il mare agitato, ad ammirare le onde che si rincorrevano incessantemente con ritmo ipnotico, con quel colore grigio argentato cupo dato dai riflessi di luce degli schizzi sugli scogli.
Era stato un bambino fortunato: la casa sulla collina antistante il mare era il suo luogo di vacanza estiva.
Poi era cresciuto.
Era diventato ormai un professionista stimato e molto impegnato.
Ma non perdeva occasione di andarci appena fosse possibile, anche se significava attraversare l’oceano.
Il profumo del mirto che si levava dalla macchia circostante, rigogliosa e folta, era il segnale che era arrivato a “casa”.
In realtà, già da quando arrivava a una casa cantoniera, durante il percorso dall’aeroporto, e le imponenti e maestose rocce di granito sostituivano l’orizzonte di insignificanti pendii collinosi, già da lì, si sentiva a “casa”.
Lungo la strada tortuosa si intravedeva il mare, e si poteva capire dove andare a pescare in base alla direzione delle onde; vi erano così tante cale in quella zona frastagliata che era possibile trovare un posto ridossato qualunque fosse il vento.
Che non mancava mai.
I suoi pensieri al risveglio corsero a quei momenti, rimpiangendo le tante volte che avrebbe potuto andare al mare in bicicletta attraverso il sentiero scosceso dove, solo col fuoristrada, si poteva passare.
Oggi non poteva più farlo.
Ron Logan aveva 52 anni.
In un attimo ripensò alla sua vita.
Cazzo, 52 anni.
Di occasioni, rinunce, scelte sbagliate e qualche colpo di culo.
I colpi di culo gli fecero venire in mente Dio.
Credeva in Dio, a modo suo.
Dio lo ripagava con un aiuto, di tanto in tanto.
Lui la chiamava provvidenza, un altro le avrebbe definite fortunate coincidenze.
Mentre si faceva la doccia pensava alla giornata che lo attendeva.
Doveva lavorare fino al tardo pomeriggio probabilmente.
Poi… non si poteva prevedere.
Il poi dipendeva dalle urgenze del suo mestiere.
Uno schifo di mestiere che adorava.
Aveva rinunciato a se stesso per la sua professione.
Fare il veterinario era stato naturale: adorava i gatti.
Ma ogni animale lo attraeva e incuriosiva: li amava per l’animo puro, l’assenza di malizia.
Gli studi erano stati semplici, da un punto di vista didattico.
Ma logisticamente erano stati una sofferenza, in una città che era una giungla.
Poi si era trasferito in quella città sul mare.
Non era la stessa cosa, ma almeno gli ricordava la casa sulla collina.
Perché dal balcone si godeva il vento, ammirando le onde.
Squillò il cellulare.
Uscì grondante dalla doccia ancora insaponato.
Riconobbe il numero sul display.
«Ehi, che c’è di così grave da disturbare il tuo capo così presto?» disse in scherzosa antitesi col suo tono divertito.
Una voce per nulla allegra all’altro capo.
«Quanto impieghi ad arrivare dai Ferguson?»
Era Guy. Il suo assistente, Guy Dover.
Volenteroso e preparato, era anche un bel ragazzo.
Se non fosse stato timido, si sarebbe potuto scopare Miss America.
Magari ci stava lavorando, sulla timidezza.
«Dipende da cosa succede. Se serve anche 15 minuti…»
«Ok, ci vediamo lì tra 10 minuti, allora.»
E chiuse.
Forse la timidezza di Guy stava migliorando.
Durante il tragitto verso la tenuta dei Ferguson pensava ai vari scenari che avrebbe potuto trovare.
Di solito Guy era molto scrupoloso nelle anamnesi, fosse stata anche la stitichezza di un cardellino. Stavolta aveva avuto fretta.
Brutto segno.
Frank Ferguson era un allevatore di campioni.
Cavalli, tori.
Basta che fossero bestie selezionate, con pedigree.
Voleva solo animali da competizione. Vincenti.
Qualche bestia doveva aver avuto qualche casino grosso.
Se no Guy non sarebbe stato sbrigativo.
Magari lo stava già assistendo.
La guardia all’ingresso riconobbe il suo pick-up da quando ancora era distante.
Sfrecciò attraverso le barriere sollevate dirigendosi verso le stalle.
Già da lontano si intravedeva un trafelato movimento di inservienti.
Parcheggiò sollevando un polverone, ma nessuno fece caso a lui.
Facendosi largo fra la gente che occupava l’ingresso alle stalle, avvertì una sensazione di angoscia diffusa.
Il cavallo era disteso per terra, con delle coperte inzuppate attorno alle zampe.
Circondato da sangue per terra, sulle pareti, in parte coagulato, in parte fresco.
«Da quanto è così?»
Anche se capì che ormai non aveva molta importanza, osservando il tremore dell’animale, massiccio e muscoloso.
Il tempo era quasi scaduto.
Discostò i teli e uno zampillo di sangue lo sfiorò, andando a ravvivare le fresche macchie purpuree sulla parete.
Guy, in affanno, cercava di posizionare un ago in vena per idratarlo.
Il cavallo, oramai allo stremo, non aveva quasi più pressione.
Incannulò la vena ed emise un gemito di soddisfazione.
«Bravo, buttagli dentro liquidi con anestetico. Qualcuno prenda la bombola di ossigeno dal furgone: non c’è tempo per intubarlo, lo facciamo con la maschera.»
Contemporaneamente Ron tirò fuori dalla borsa un grosso bisturi, con cui raggiunse la ferita profonda dell’arteria, sotto i poderosi muscoli di Ramses.
Era il purosangue vincitore degli ultimi due Gran Premi nazionali.
Gli ultimi ormai che avrebbe vinto nella sua carriera.
A mani nude posizionò il divaricatore, incurante dei lamenti e dei movimenti, ormai poco efficaci, del robusto animale.
Raggiunse l’arteria carotide attraverso lo squarcio tra i muscoli.
Ciò che vide gli fece capire che non era stato un incidente.
Elisabetta –
Dopo qualche pagina sei dentro la storia.Il libro non si legge, si beve tutto d’un fiato nonostante le sue 450 pagine. Imprevedibile, fino alla fine..
Bello!!