Come foglie al vento

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Stefano Pavesio

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-322-2 Categoria: Tag:

Descrizione

Cinque ragazzi, residenti in anonimi e sonnolenti paesini delle colline astigiane, vedranno le loro vite sfiorate da eventi sempre più funesti, fino a diventarne parte loro stessi, scoprendo, forse senza nemmeno accorgersene, che il male non può che generare altro male e che tutto quel che accade non sempre è dettato da una personale volontà, ma accade semplicemente perché deve accadere, perché, al di là delle scelte soggettive, ci sono delle forze che guidano gli avvenimenti secondo uno schema prestabilito di ampio respiro, che porterà le loro esistenze negli anni 80-90 a intrecciarsi con vicissitudini legate agli anni della seconda guerra mondiale e alle vite di persone solo all’apparenza completamente slegate dalle loro. Ogni azione, per quanto piccola o insignificante possa apparire, ne scatena altre, talora quasi impercettibili talora dirompenti.
Esiste un filo conduttore che regola il trascorrere di ogni vita, un filo che si srotola da una matassa che non conosce limiti spaziali e temporali, un filo sottile, quasi invisibile, ma incredibilmente resistente, indistruttibile, un filo che nel suo svolgersi avvolgerà intorno a sé differenti esistenze trascinandole inesorabilmente verso un unico punto di confluenza, pur lasciando loro l’illusione di poter disporre pienamente delle proprie decisioni, un filo che avvolgerà allo stesso modo gioia e dolore, vita e morte, violenza e amore, legandoli insieme indissolubilmente.
Un filo che, al di là dei mondi concreti e reali noti a tutti, lambirà sfere meno considerabili dalle menti più razionali, come quelle che sembrano donare una volontà malvagia a un borgo abbandonato e al bosco che lo circonda o come quelle che chiamano in gioco la presenza delle masche o che sembrano suggerire un gatto albino come un’occulta presenza latrice di sventura.
Non tutto quel che accade è comprensibile.
Non tutto quel che accade è accettabile.
Ma nulla, nulla accade per caso.

 

INCIPIT

Non puoi scorgere l’alba

Senza aver prima percorso i sentieri della notte

(Khalil Gibran)

CANDELINA

1988

La decappottabile fucsia era immobile, addossata al palo di legno contro cui aveva finito la sua corsa. La bella, bellissima ragazza bionda giaceva inerme nell’abitacolo, le mani ancora sul volante, lo sguardo fisso, i lunghi capelli sciolti sul succinto vestito rosa che aveva scelto per farsi quell’ultimo giro. Solo che lei non lo sapeva che sarebbe stato l’ultimo, non poteva saperlo. Da sotto l’auto usciva un rivolo che andava allungandosi sul terreno seguendone la lieve pendenza, come se il veicolo stesse orinando. E via via aumentava la sua lunghezza e la sua portata, fino a raggiungere il ragazzino che assisteva compiaciuto alla scena. Stava acquattato dietro un grosso cespuglio di rose e vedeva tutto distintamente. Aveva visto tutto e non c’era nessun altro intorno. Il liquido lo raggiunse nel punto preciso dove stava, come una rabdomanzia alla rovescia, ma non era acqua. Benzina. Il suo odore pungente e inebriante, irresistibile aroma postmoderno, gli solleticò le narici provocandogli quel familiare senso di euforia e di eccitazione. Si mise una mano in tasca e mosse le dita fino trovarlo, in mezzo a monetine e caramelle, fino a sentirne la forma quasi cilindrica, ellittica a esser precisi. Lo estrasse, un accendino Bic arancione, lo avvicinò al rivolo e girò la rotellina metallica. Prese fuoco all’istante e le fiamme ripercorsero a ritroso il tracciato fino alla macchina avvolgendola in un attimo e raggiunsero la fanciulla avviluppandola interamente e divorandone fameliche i capelli; il vestito evaporò pochi secondi dopo e poi fu la carne. Prima prese fuoco, poi iniziò a sciogliersi lentamente, a cadere a gocce infuocate, le braccia le gambe il volto si deformarono come la cera di una candela. La ragazza non emise un gemito, non si mosse, non gridò, andò via via liquefacendosi.

“Che cazzo stai facendo??? Io ti ammazzooooo, razza di cretino!” queste erano urla vere, non di dolore, ma di furore e in quel momento erano indice di grave pericolo. “Rolando, sei un deficiente, è inutile che scappi tanto prima o poi ti piglio e ti gonfio” gridava Rebecca.

Ma Rolando, abituato alle fughe dalla sua imponente sorellona, era già al riparo sulla sophora, appollaiato su un robusto ramo a tre metri dal suolo.

“Tanto quassù non ci arrivi, culona che non sei altro” disse, facendo seguire una pernacchia sputacchiosa. “E poi cosa rompi, ne hai a decine di quelle stupide Barbie!”

“Quale hai preso? Com’era vestita? Dimmelo!! Ti strozzo!”

“Era vestita di rosa, il vestito brillava e aveva una borsetta verde con un cuore. Perché, cosa ti cambia?”

“Razza di demente! Era Barbie shopping, me l’aveva regalata papà, era un ricordo! Sei solo uno stupido ragazzino, ecco cosa sei!” aveva gli occhi pieni di lacrime nervose.

“Se è per questo te le ha regalate tutte papà, o quasi. Hai le altre, Barbie shopping è morta in un incidente d’auto, capita nella vita, sai? E poi va bene così, tanto anche papà è morto.”

“Smettila! Stupido stupido stupido!! Non è morto, è solo andato via, tornerà.”

“Smettila tu, scema, è la stessa cosa, se ne è andato e ci ha lasciati qui, è come se fosse morto! Comunque tu pensala come vuoi, illuditi pure.”

“Spero che caschi da quel ramo e ti spacchi la testa!”

“Certo, se cadessi tu, faresti una voragine! O forse rimbalzeresti, palla come sei. Anzi, si romperebbe prima il ramo mentre cerchi di salire. Perché non sali a buttarmi giù? Dai, vieni.”

“Stronzo!” sentenziò Rebecca, quindi raccolse una manciata di ghiaia e la scagliò verso il fratello, colpendolo solo di striscio, si voltò e se ne andò.

“Ecco brava, vattene e metti al sicuro le tue bamboline, potrebbero bruciare all’inferno!”

Senza voltarsi lei alzò la mano destra mostrando il dito medio e sparendo dalla sua vista.

Era estate, faceva caldo, un caldo umido e afoso; tra le fronde della sophora, in maglietta e calzoncini, si stava divinamente bene. Tutto a un tratto avvertì un tonfo leggerissimo alle sue spalle sul ramo su cui poggiava e qualcosa gli si strusciò contro il polpaccio. Era un qualcosa di caldo e peloso. “Ciao Buio, eccoti qui micione, dove sei stato negli ultimi giorni?” Il gatto proseguì fino a pararglisi di fronte, strofinò il suo naso umido contro quello del ragazzino e iniziò a far le fusa. Era completamente bianco, il naso rosa pallido e gli occhi quasi trasparenti. Era un raro caso di felino albino. Il suo manto era candido come le neve, sempre, le rare volte in cui si sporcava pochi minuti dopo era di nuovo bianco brillante, come se si fosse fatto un bagno nella candeggina. Pesava quasi dieci chili, una stazza di tutto rispetto, considerato il fatto che fosse un maschio non castrato. E dire che ci avevano provato a fargli recidere i sacri gioielli, ma ogni volta che era atteso il veterinario lui spariva con sapiente anticipo e in nessun caso eran riusciti a metterlo in gabbia, vuoi per fughe rocambolesche accompagnate da graffi e morsi, vuoi per la sua assenza fisica, era come se lo sapesse. Dopo una decina di tentativi ci avevano rinunciato, in fin dei conti poteva anche andar bene così. Era il gatto alfa di Primiglio, o almeno tentava di esserlo, come testimoniavano le molte cicatrici e le punte delle orecchie frastagliate da troppi morsi. Era un gatto impegnato a controllare il territorio e nelle sue lunghe assenze pattugliava e controllava che tutto fosse a posto e che, soprattutto, gli altri gatti stessero al posto loro.

“Ho bruciato una Barbie a quella scema di mia sorella, sai?” gli disse Rolando. Gli occhi del gatto sembrarono cambiare espressione, allungò una zampa poggiandogliela sul dorso della mano, dopodiché estrasse repentinamente le unghie, conficcandogliele dentro. “Ahia! Ma che ti prende? Cos’è, ho detto qualcosa che non va?” Le unghie si ritrassero. Sembrava un sì. Il ragazzino rimase un attimo pensieroso, un po’ incredulo, non era certo la prima volta che aveva la sensazione che il gatto lo capisse e volesse parlargli a sua volta. Provò a formulare un’altra domanda: “Ho fatto male a bruciare la bambola?” niente unghie. Era un sì o un no? Pensò, se la cosa è sbagliata mi graffia, altrimenti no. È una follia, dai! Ma vabbè, vediamo “Ho fatto male a salire sull’albero?” Niente unghie. “È qualcosa che ho fatto o detto a quella stupida?” Unghiata. “Ahi! Cos’è, perché ho detto che è scema?” Ancora unghie.

“Aspetta gatto, aspetta. Mi vuoi dire di non insultare mia sorella?” Unghie rimosse. “Di aver rispetto di lei?” Niente unghie. “Ma tu che ne sai di cosa vuol dire avere una sorella così rompipalle?” Rimasero a guardarsi qualche secondo. “È pur sempre mia sorella ed è l’unica che ho. Questo vuoi dire?” Mosse la zampa come per accarezzargli la mano, o così parve a Rolando. Emise un miagolio e saltò agilmente giù dal ramo zampettando rapidamente verso casa, sicuramente a cercare cibo, lasciandolo pensieroso su quanto appena accaduto.

2 recensioni per Come foglie al vento

  1. Manuela L

    Come foglie al vento

    Questa non è un una semplice storia, si può leggere, infatti, in molti modi.
    Inizia nel 1988 con quattro ragazzini, Rolando detto Candelina, Michele, Davide detto Gaui ed Elisa. Hanno dodici anni e una vita che ha riservato loro solo allegria.
    Questa storia finisce nel 2006, e siccome i ragazzini sono diventati grandi, hanno scelto strade diverse, non giocano insieme da tanto tempo, e da troppo non si vedono più. Non ci sarebbe molto altro da dire, nel mezzo 18 anni di vita, di evoluzione, di trasformazione verso l’età adulta.
    Un romanzo di formazione a tutti gli effetti.
    Ma non basta.
    C’è anche la seconda guerra mondiale e la città di Asti, e le bombe, e i rifugi antiaerei , sempre troppo lontani e sempre troppo pochi. Poi la guerra finisce e arriva il dopo, con la miseria e la disperazione dei suoi abitanti, che è disperata voglia di vivere.
    Potete allora pensare che sia pure un romanzo storico.
    Ma non basta ancora.
    C’è l’inquietante storia di un borgo abbandonato. Deserto dalla notte di Natale del 1946. Che fine hanno fatto i suoi abitanti? Erano uomini donne e bambini, partiti tutti insieme per Asti. Ma ad Asti non ci sono mai arrivati. E il borgo ormai deserto si è chiuso in sé, circondato e protetto da un bosco inquietante e malevolo. Perché è così che diventano i boschi, quando la sofferenza e il sangue inzuppano il loro territorio.
    Potete dunque scorrerlo con occhi avidi e inquieti come si fa con i mistery.
    Ma alla fine, questa storia, una definizione non ce l’ha e non importa a nessuno. Non importa a Pavesio, che l’ha voluta solo raccontare, non importerà ai lettori quando si accorgeranno quanto bene l’ha saputo fare.
    E così avrei detto tutto il necessario. Aggiungerei solo una cosa.
    Tutte le storie hanno un luogo come casa. Questa ha un luogo che è molto più di un posto, perché
    Pavesio, per descriverlo, ha attinto da tutti i sensi, restituendoci colori suoni odori rumori. E ricordi che strappano sorrisi.
    Le Crystall Ball, per esempio, che avevo dimenticato tanto tempo fa.
    E’ importante dirlo, perché i ricordi, quelli belli, sono una cosa strana. Ti scivolano nell’anima impregnandola di nostalgia e le persone nostalgiche di solito sono persone tristi. Ma con i ricordi belli la nostalgia non fa così, ti prende forte e a volte ti sconcerta, poi ti lascia lentamente, e la dolcezza che ti resta dentro, prima, non la potevi nemmeno immaginare.

  2. Oliviero Angelo F

    Una scrittura organolettica e una struttura complessa ed intriga

    Questo copioso romanzo di Pavesio, sia per quantità che per intensità, è stata una tra le letture più avvincenti che ultimamente, e non solo, ho avuto la fortuna e il privilegio di intraprendere. Uno splendido viaggio nell’astigiano e nel torinese a partire dagli anni ’80 fino al 2011con salti mai casuali nelle vicende della seconda guerra mondiale sul finire degli anni ’40.
    Già dal primo approccio la scrittura così organolettica e la struttura narrativa così complessa e nel contempo così intrigante di Stefano Pavesio mi ha fatto pensare a David Mitchel, conosciuto dai più come l’autore di Clouds Atlas , nei suoi romanzi “Le ore invisibili” e “I mille autunni di Jacobs De Zoet, mentre il clima iniziale nella narrazione delle piccole e immense quotidianità di questo gruppo di ragazzini mi ha ricordato il racconto di King “Stand by me- Ricordo di un’ estate” che non a caso è stata la base ispiratrice per il successivo suo romanzo monstre “IT”.
    Chiusa la parentesi di questi miei personali riferimenti letterari. Pavesio si è ritagliato un suo importante spazio nella mia considerazione letteraria che nulla ha da invidiare a questi affermati autori. Traspare da subito alla lettura di questo suo romanzo d’esordio l’incredibile abilità dell’autore di tessere una trama complessa e intrecciata e di saperla dipanare al meglio nei giusti tempi per imbrigliare e catturare totalmente l’attenzione di ogni lettore.
    Si narra delle vicende di 5 amici bambini a partire dal 1985 e attraversiamo con loro un ventennio intenso nel quale si succedono accadimenti anche infausti, nefasti e altamente misteriosi in alcune dinamiche dove si comincia ad evincere che nulla accade per caso e che tutto è guidato da un sottile e sanguinoso filo rosso che parte dagli anni trenta. Ma è anche una storia di amicizie e amori, di gioia e dolori e ripetuti colpi di scena che incolleranno il lettore alle pagine, il tutto in un sottofondo di mistero e anche horror, soprattutto nell’inquietante e malefico bosco contiguo al paese astigiano dove i nostri ragazzi vivono e giocano e nel paese fantasma che da quel bosco è avvolto quasi inestricabilmente.
    È una storia anche di Masche,di entità oscure che infestano quei luoghi e che sembra siano arbitri e giudici dell’esistenza dei molti personaggi che si intrecciano nella trama e, lì dove tutto sembra possa succedere per scelte arbitrarie più o meno volute dagli stessi personaggi, il dubbio che invece tutto possa svolgersi per uno scopo superiore che non tenga in nessun conto il valore di ogni singola vita che può venire spezzata per rispettare un disegno ben preciso è molto più che fondato.
    Tutto verrà svelato in un finale intensissimo ed entusiasmante per ritmo, climax e rivelazioni sconvolgenti che però sono la chiave di volta per comprendere finalmente tutto questo straordinario mondo che Pavesio ha saputo offrirci. Senza sbagliare assolutamente un colpo.
    Splendidamente disegnati sono gli animali che hanno un ruolo fondamentale in questa storia, a partire da “Buio”, il gatto bianco che con Rolando, l’anima trascinante di questo gruppo di amici, pare avere un legame profondo che sembra proprio sconfinare nel paranormale.
    “Come foglie al vento” parla dell’aleatorietà delle varie esistenze, ognuna seppur di una differente radice, ugualmente esposta agli agenti atmosferici e ai parassiti, ognuna a svilupparsi e poi ad ingiallire per poi staccarsi dal ramo e cadere a terra. Ma succede che una o più foglie venga strappata anzitempo, ancora verde, volando via in un’ultima danza sulle ali del vento, senza sapere quanto il vento la sosterrà, dove la porterà e con chi la farà incontrare. Queste sono le parole quasi profetiche che uno dei ragazzi scrive in una lettera toccante all’amico fraterno. Solo che il vento in questo romanzo non ha nulla di casuale e il Fato che lo addomestica ha ben chiaro oscuri disegni realizzativi. A dispetto delle numerose pagine che compongono “Come foglie al vento”, ho letto quasi in un’unica soluzione questa coinvolgente ed emozionante storia che il bravissimo autore ha saputo offrirci. Un romanzo da leggere assolutamente, un romanzo che riconcilia ogni lettore col piacere di una indimenticabile lettura. Chapeau, Stefano Pavesio!

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