Clessidre orizzontali

12,00

Formato: Libro cartaceo pag. 96

Autore: Francesco D’Angiò

Note sull’autore

 

COD: ISBN: 978-88-5539-143-6 Categoria: Tag:

Descrizione

Se è vero, come scrive il poeta guatemalteco Cardoza y Aragon, che la poesia è l’unica prova concreta dell’esistenza dell’uomo, mettere la propria clessidra in posizione orizzontale, metafora dell’arresto del tempo, e poi fare il punto sulla propria vita rappresenta il momento in cui si prende coscienza di sé e si smette di essere come un moscerino nel mosto, “ubriaco di ronzio che non si ascolta”.  È una poesia del disincanto e del disamore quella di Francesco D’Angiò, presa di coscienza di un cammino irrisolto e, nell’inseguirsi dispettoso dei giorni, l’impressione che tutto sia inutile, come la sabbia sotto i piedi di chi non ha mai gettato via le scarpe. “So stare male così bene”, scrive il Poeta, contemplando le macerie della vita. Accanto alle macerie, però, nasce lo stupore. E allora ci si rimette in gioco, magari camminando a carponi, “fino all’angolo del coraggio”. Sarà il momento di rimettere in piedi la clessidra?

I – ILLUSIONE DI SIEPE

 

Fossi stato all’apparenza felice

come le voci levatesi presto

ai lavori faticosi dei campi,

avrei avuto le assenze giuste

per domandarmi quel che basta

a concludere la giornata.

Le urla di un senso sudato

ora dopo ora,

sciolti pomodori essiccati al sole

distanti da grovigli che si assottigliano

distratti dall’anonimo finale,

sempre più probabile

come il fieno al ruminante

e la fanghiglia alle ultime piogge

che non sono più di alcuna stagione

ma rimandano ad illusione di siepe.

 

 

 

II – IL MOSCERINO DEL MOSTO

 

S’avventa la calma,

sui primi consueti mutamenti

poggiati alle pareti dei colori

smargiassi ed un po’ ruffiani,

nuovi nei ristagni dei cerchi

che fa il tempo prima

di lasciare l’acqua.

La macina del nuovo chicco

il moscerino del mosto

ubriaco di ronzio

che non s’ascolta,

tutto è rimesso

nei luoghi dei cieli

di ogni stagione,

prima che penzoli

l’inverno non riconosciuto

come tu ben sai

frequentando il freddo

dal suo interno.

 

 

III- STRANITA FORTUNA

 

Acquietarmi non posso,

vagante e rimosso da equilibri

che d’altri sono,

e non mi riconosce

il viandante di ogni epoca.

Sul crinale di un saluto

ho accompagnato il verso muto,

ed è stato il mio invito a restar vicino

a quei sussulti fioriti al desio,

tra connubi di ossa e fastidi poco distanti

da poterci nascondere le paure

scheggiate di felicità,

farfugliate da chi regge il tempo

con una mano,

e con l’altra accarezza

la stranita fortuna.

 

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