Descrizione
Se è vero, come scrive il poeta guatemalteco Cardoza y Aragon, che la poesia è l’unica prova concreta dell’esistenza dell’uomo, mettere la propria clessidra in posizione orizzontale, metafora dell’arresto del tempo, e poi fare il punto sulla propria vita rappresenta il momento in cui si prende coscienza di sé e si smette di essere come un moscerino nel mosto, “ubriaco di ronzio che non si ascolta”. È una poesia del disincanto e del disamore quella di Francesco D’Angiò, presa di coscienza di un cammino irrisolto e, nell’inseguirsi dispettoso dei giorni, l’impressione che tutto sia inutile, come la sabbia sotto i piedi di chi non ha mai gettato via le scarpe. “So stare male così bene”, scrive il Poeta, contemplando le macerie della vita. Accanto alle macerie, però, nasce lo stupore. E allora ci si rimette in gioco, magari camminando a carponi, “fino all’angolo del coraggio”. Sarà il momento di rimettere in piedi la clessidra?
I – ILLUSIONE DI SIEPE
Fossi stato all’apparenza felice
come le voci levatesi presto
ai lavori faticosi dei campi,
avrei avuto le assenze giuste
per domandarmi quel che basta
a concludere la giornata.
Le urla di un senso sudato
ora dopo ora,
sciolti pomodori essiccati al sole
distanti da grovigli che si assottigliano
distratti dall’anonimo finale,
sempre più probabile
come il fieno al ruminante
e la fanghiglia alle ultime piogge
che non sono più di alcuna stagione
ma rimandano ad illusione di siepe.
II – IL MOSCERINO DEL MOSTO
S’avventa la calma,
sui primi consueti mutamenti
poggiati alle pareti dei colori
smargiassi ed un po’ ruffiani,
nuovi nei ristagni dei cerchi
che fa il tempo prima
di lasciare l’acqua.
La macina del nuovo chicco
il moscerino del mosto
ubriaco di ronzio
che non s’ascolta,
tutto è rimesso
nei luoghi dei cieli
di ogni stagione,
prima che penzoli
l’inverno non riconosciuto
come tu ben sai
frequentando il freddo
dal suo interno.
III- STRANITA FORTUNA
Acquietarmi non posso,
vagante e rimosso da equilibri
che d’altri sono,
e non mi riconosce
il viandante di ogni epoca.
Sul crinale di un saluto
ho accompagnato il verso muto,
ed è stato il mio invito a restar vicino
a quei sussulti fioriti al desio,
tra connubi di ossa e fastidi poco distanti
da poterci nascondere le paure
scheggiate di felicità,
farfugliate da chi regge il tempo
con una mano,
e con l’altra accarezza
la stranita fortuna.
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