Cappuccino italiano

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Ilaria Prete

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-202-7 Categoria: Tag:

Descrizione

Che cosa significa “famiglia”? Come possono essere genitori due soggetti strampalati come Ottavia, una giovane madre bisessuale e single per scelta e William, un attore gay di mezza età che soffre di disturbo bipolare? Come cambia la visione della vita, quando si diventa genitori? Questi ed altri sono i temi di Cappuccino italiano, un romanzo ricco e complesso, eppure scorrevole e leggero, che racconta una storia molto sfaccettata, complicata e appassionante come la vita, volta a volta ironica o paradossale, capace di lasciare al lettore degli spunti di riflessione su temi scottanti e controversi come la genitorialità delle coppie omosessuali, l’eutanasia, la libertà individuale (anche di consumare droga) e i doveri dell’individuo nei confronti della società. Questo romanzo non vuole fornire risposte preconfezionate, ma sicuramente lancia un messaggio: affetto, supporto reciproco, solidarietà, amore e amicizia non hanno nulla a che fare con i legami di sangue e di parentela. E non è la sessualità di un genitore a fare di lui (o di lei) un bravo padre o una brava madre.

INCIPIT

Il grosso orologio al centro della sala indicava le 11:44 della sera.
Dall’altoparlante una voce registrata annunciò: “Il treno n… proveniente da Vienna e diretto a Roma Termini è in arrivo al binario 4.”
Un attimo dopo, la quiete della stazione venne interrotta dal frastuono di ferraglia in avvicinamento. Da una carrozza nel fondo del treno scese un solo passeggero, un uomo di mezza età molto alto, con le spalle ricurve e l’aria di chi non vede un letto da diversi giorni. Fece qualche passo incerto sulla banchina, appoggiò a terra il suo modesto bagaglio e si lasciò cadere pesantemente su una panchina coperta di scritte e graffiti.
Teneva lo sguardo fisso, tormentandosi le mani e dondolando la testa avanti e indietro, irrequieto.
A parte quello strano personaggio, la stazione era deserta.
Passarono un paio di minuti, senza che il nostro uomo cambiasse posizione o smettesse di ondeggiare ritmicamente la testa, nel silenzio immobile della stazione.
La voce metallica dell’altoparlante ruppe all’improvviso la quiete: “È in arrivo il treno regionale n… proveniente da Venezia S. Lucia e diretto a Trieste centrale, delle ore 23:21 al binario 4, in ritardo di 35 minuti.”
A quel suono, l’uomo scattò in piedi, prese il borsone e si diresse verso i binari.
Un istante dopo, come preso da uno sconforto troppo grande, ributtò la sacca a terra e rimase immobile come una statua di sale, a capo chino.
Una ventina di passeggeri smontarono dal treno appena arrivato e si affrettarono borbottando verso l’uscita, senza badare alla figura desolata in mezzo ai binari. Per ultima scese una donna bionda piuttosto giovane che, imprecando con veemenza a testa bassa, finì addosso allo sconosciuto.
– Mi scusi – mormorò all’uomo, che, da parte sua, non batté ciglio. La donna si allontanò di qualche passo, facendo risuonare i tacchi sul lastricato. Cinque metri più avanti si girò esitante per un secondo o due, e, infine, tornò sui suoi passi.

(Dal diario di Ottavia:)
25 aprile 1992
ore 01:46

Per le Ferrovie dello Stato viaggiare da Torino a Trieste è un’impresa titanica: sono salita alle 12:30 a Torino Porta Nuova e sono smontata alle 23:52 a Trieste centrale. Undici ore e passa di taratatartagliamento e puzzo di catrame! Le ore perse nelle stazioni in attesa che riparassero il guasto non le sto nemmeno a contare. So solo che ho passato un’ora e tre quarti a Meolo (trenta abitanti inclusi porci e galline) e in quell’ora e tre quarti ho fatto fatica a trovare un buon motivo per non commettere una strage. Scendo dal treno incazzata nera e mi scordo il regalino per Lorenzo sul sedile. Sempre più nera, rimonto, arraffo la palla di vetro con Mole Antonelliana, ridiscendo e.
Scontro con l’unica persona presente in stazione: un palo piantato lì in mezzo nel lastricato bianco e io, come un mulo, lo inforco.
Pardòn, e tiro dritto.
Allucinazioni da troppe ore di reclusione e arsura in treno. William Oldwin? Alla stazione di Trieste?
Barbasfatta jeansverdepistacchio magliettastracciata e impermeabilegrigiotopo? Va bene che gli Inglesi non si sanno vestire, però così travalica i confini della decenza di qualunque Paese!
Seconda occhiata per sincerarmi che non ho le traveggole: la visione era ancora lì, ombra lunga da lampione al neon.
A questo punto che fai? Non ti avvicini e gli parli?
L’allucinazione fa la faccia da merluzzo. Sembra aver viaggiato in un brutto incubo.
Ripeto la domanda.
Fa segno di non aver compreso bene.
(Mai che si riesca a far capire agli Inglesi la loro stramaledetta lingua!).
Ritento. Occhiata smarrita e assente di William Oldwin: allarga le braccia, ma stavolta mi ha capito.
(Credo)
Dove devi andare?
Dove sono?
Capito. Hai l’aria di avere urgente bisogno di un letto (e una doccia, aggiungo mentalmente, ma sono una persona dabbene ed educata se voglio, e non ne faccio parola).
Ti do un passaggio?
Annuisce.
La maschera di cera comincia a prendere vita. Lancio un’occhiata al bagaglio e mi scordo di essere una personcina discreta che si fa gli affari suoi:
Come mai viaggi con un borsone da palestra semivuoto?
L’ho comprata vent’anni fa, in preda ad un raptus salutista.
Va bene, anche se non risponde alla domanda. In compenso attacca uno scioglilingua interminabile:
Per ben due giorni ho ponderato l’idea di smettere di fumare, andare in palestra tre volte a settimana e di ingurgitare almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno…
(Erano solo cinque all’epoca? Adesso sono almeno sette. Ma lo penso a bassa voce, perché non credo che mi ascolterebbe)
…poi mi è passata, come si può notare dallo strato adiposo che riveste i miei addominali.
(Se esistono davvero, aggiungo mentalmente, ma sono una persona dabbene eccetera)
Non puzza d’alcool, quindi non straparla perché ubriaco.
Per il momento sparo cazzate a raffica sullo spettro del fitness che si aggira per l’Europa e le orde barbariche di salutisti che si fanno largo a colpi di fermenti lattici vivi.
Gradisce perché risponde pure, Persino mia madre aveva smesso negli ultimi anni di mangiare formaggio e carne rossa…
(Continua imperterrito a parlare. Quasi quasi lo preferivo muto).
…viveva nel terrore che le placche sclerotiche innalzassero barricate nelle sue coronarie. Preoccupazione vana: è morta investita da un autobus andando a comprare il succo di barbabietola.
Ma che ci fai a Trieste con quel bagaglio?
Non serve una gran valigia se vuoi andare all’altro mondo.
Inchiodo (cioè, considerando che ho una Panda vecchia di otto anni, è più corretto dire che scivolo dolcemente per una ventina di metri prima di arrestare il veicolo).
Ha fissato obliquo il suo riflesso nel finestrino accarezzandosi il mento.
Avrei dovuto farmi la barba: anche la disperazione richiede un minimo di decoro.
Ti sei suicidato?
(Forse dovrei ripassarmi la consecutio temporum inglese).
No, come puoi vedere ho toppato.
Intendi che ci hai rinunciato?
Diciamo che ho deciso di rimandare finché non trovo il modo più adatto: sopprimersi richiede molta cautela.
Ho letto da qualche parte che sei in buona compagnia. Apparentemente, l’incidenza dei suicidi riusciti è inferiore all’8%. E, quasi sempre, non si tratta di dilettanti alle prime armi.
Un’ombra di sollievo nella piega obliqua della sua bocca: Questa notizia mi tira su immensamente! Dedicarsi al suicidio può essere deprimente, specie se conti tutte le volte che hai fatto fiasco.
Fissa dritto nella mia direzione e, Come hai fatto a riconoscermi?
Ho fatto il dottorato in Neuroscienze a Londra un paio d’anni fa: mi sono nutrita di pinte di birra e tivvù inglese.
Annuisce.
Ti ho visto anche a teatro una volta, con i miei coinquilini che sono tuoi fan sfegatati.
In quale spettacolo?
Era Tenere tartarughe, mi sembra.
(Eravamo tre delle quattro persone presenti in sala, ma non lo dico perché so essere delicata e sensibile, se voglio).
Ah, e accenna col capo: Un bel fiasco. Era più affollato il palco della platea!
Se lo dice da solo… Ora ho rivangato un brutto ricordo e forse adesso si deprimerà ancora di più e magari anche mi odierà e.
Sai, con i miei coinquilini eravamo dei grandi appassionati di Spelami: mai persa una puntata. Ho ancora le videocassette registrate da qualche parte. Perché avete smesso?
Mi lancia un’occhiata a metà strada tra l’incredulità e l’esasperazione.
Ho capito: non ci sarà una quarta serie.
(Il che è un vero peccato!).
Sorride e poi annuisce pensoso, Per un attimo ho sperato che la mia fama avesse oltrepassato la Manica.
E com’è che sei finito a Trieste? Sconfiggi la tristezza a colpi di cultura mitteleuropea?
Non capisce: Prego?
Mi piace questo nuovo termine cultura mitteleuropea. Prima si chiamava campanilismo.
Mi guarda poco convinto.
Si dice che Trieste sia uno dei centri della Mitteleuropa, che non ho mai capito cosa sia. Ma non sei qui per questo, vero?
(Ma che idiota! Ma se nemmeno cinque minuti fa mi ha chiesto dov’era finito?).
Non lo so: ho solo qualche vago ricordo di essere saltato da un treno all’altro. Che giorno è oggi?
Da qualche minuto è il 25 aprile.
Annuisce sovrappensiero.
Non è il momento di porre altre domande.
Ho mollato la mia fedelissima Panda 4×4 a scoppio ritardato in un comodissimo e ampio parcheggio. (Era la fermata dell’autobus: benvenuto in Italia, bello)
Schizza fuori dalla mia scatola per sardine e le sue vertebre lombari mandano uno scricchiolio sinistro. Appurato che non ha problemi legati alla pecunia (il portafoglio l’ha portato perché non si sa mai che servano soldi e documenti per il trapasso), l’ho accompagnato all’Hotel Savoia.
Pare che abbia gradito la scelta. La receptionist un po’ meno, ma le carte di credito accompagnate da un documento rassicurano anche i più inconfessabili scrupoli.
Gli ho dato il mio numero, tanto domani sono libera e porto in giro il mio orrido figlio di due anni.
Forse è talmente giù di morale che accetterà il mio invito.
Naaa, se ne andrà il prima possibile da qui. Se dovessi rinunciare all’ultimo momento ad ammazzarmi, non è a Trieste che verrei per riappacificarmi con l’umanità. Ma se odiassi l’umanità (e i pensionati) non me la prenderei con me stessa: farei una strage in un ospizio. Per tentare il suicidio dovrei odiare me stessa. E per riconciliarmi con me stessa andrebbe bene qualsiasi posto, forse un posto sul mare…
Certo, chi non consiglierebbe a un uomo depresso di farsi una bella passeggiata sulla scogliera?

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