Bambola di porcellana

14,00

Formato: Libro cartaceo

Autore: Cassandra Artusi

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-5539-034-7 Categoria: Tag:

Descrizione

Si richiede coraggio per sconfiggere i nemici esterni, perseveranza e tenacia, ma da più ostacoli è lastricato il cammino se il nemico è insito in noi. Quanto più difficile può essere combattere una lotta impari contro se stessi, per debellare la parte malata e preservare quella che le soggiace impotente?

Selene Dalmasso, matricola all’università di Torino, non appare dissimile dalle sue coetanee, se non fosse per il sorriso artefatto e l’artificiosità nel modo di porsi. Le maschere dietro alle quali si nasconde celano un passato oscuro, segreti tenacemente custoditi e dolorose cicatrici che hanno lasciato segni invisibili sulla sua pelle. Ma difficile è ignorare i fantasmi del passato quando essi riemergono con tanta impudenza, portando risvolti del tutto inaspettati. Se da una parte i vecchi traumi l’avvicinano a Lorenzo, spirito a lei complementare, dall’altra la spingono inesorabilmente lontano da lui, facendo vacillare la loro peculiare storia d’amore.

I segreti che sarà costretta a svelare, le paure a cui dovrà dar voce, indurranno Lorenzo ad allontanarsi o proveranno la sincerità del suo affetto?

Innumerevoli sono le prove cui ci sottopone la vita, senza remore ci costringe a prendere decisioni per le quali non siamo pronti e quasi sembra compiacersi dei nostri fallimenti, malgrado l’impegno con cui perseveriamo. Ma con maggior spensieratezza si possono affrontare le difficoltà se durante il viaggio non si è soli.

Cosa si è disposti a fare se il male da debellare è parte integrante della persona amata?

INCIPIT

PROLOGO

 

 

Selene compose velocemente il numero sul display. Sbagliò a digitare un paio di volte data l’agitazione, poi attese impaziente di udire il primo squillo.

Un trillo.

Due.

Tre.

«Ciao, Selene. Come stai?»

Al suono di quella voce la ragazza sentì un tuffo al cuore e quasi si fece sfuggire il cellulare dalle mani sudaticce per via del nervosismo. Per un momento fu tentata di chiudere la chiamata senza dire alcunché, come se si fosse trattato di un errore, ma quando riudì la voce di Lorenzo decise di rispondere.

«Selene, mi senti?»

«Sì, sì, scusa. Non c’è molto campo» borbottò con impaccio. «Volevo chiederti che programmi hai per oggi.»

Udì il fruscio delle pagine di un libro e un tonfo sordo, seguiti da un’imprecazione sibilata tra i denti.

«… perché me lo chiedi?»

La ragazza avrebbe voluto potergli dare una risposta diversa, ma suo malgrado dovette raccapezzarsi con farfuglii inventati sul momento, pur di non rivelare che aveva agito di impulso.

«Mi stavo…» si schiarì la voce, d’un tratto roca, «mi chiedevo se ti andasse di studiare insieme.»

Silenzio.

«Era solo un’idea…»

«Sono ancora a casa, tornerò a Torino solamente lunedì, quando riprenderanno le lezioni… Selene, dove sei?» domandò, come se avesse intuito ci fosse qualcosa di sospetto in quella chiamata. Sapevano entrambi che lei non amava le conversazioni telefoniche.

«Selene?»

«Alla stazione» biascicò, tremendamente imbarazzata. In quell’istante si sentì una sciocca e si pentì di aver dato ascolto a quella vocina insensata dentro la testa che le aveva suggerito di agire d’impulso.

«Quale stazione?»

«Vicino a casa tua… Mi dispiace, non volevo disturbarti, ma… posso anche tornare a casa, ci vediamo quando iniziano le lezioni…»

«Aspettami lì, vengo a prenderti» la interruppe frettoloso; nella sua voce non vi era irritazione, una nota di preoccupazione piuttosto. «Ci vediamo tra venti minuti.»

Selene incominciò a ringraziare, ma Lorenzo aveva già riagganciato.

Durante l’attesa la ragazza camminò nervosamente facendo avanti e indietro nell’ingresso della stazione, lambiccandosi sui motivi per cui si era recata lì. Ricordava solo l’attacco di panico che l’aveva colta quando era salita sul pullman quella mattina, di come aveva prenotato la fermata quasi senza fiato e, infine, di come era inciampata nei suoi stessi passi quando finalmente era riuscita a scendere. L’aria pungente di gennaio le aveva sferzato il viso, senza riuscire, tuttavia, a placare l’inquietudine che l’aveva pervasa. Così, dopo essere rimasta alla fermata dell’autobus nella speranza di riuscire a calmarsi per un paio d’ore, si era resa conto che una sola persona avrebbe potuto arginare la confusione che le annebbiava la mente e il dolore al petto che non pareva intenzionato a diminuire.

Seguendo l’istinto era salita sul primo autobus, aveva infilato le cuffie e aveva alzato al massimo il volume della musica per estraniarsi dalla realtà circostante e scongiurare un nuovo attacco di panico. Era scesa al capolinea, davanti alla stazione ferroviaria. Una volta acquistato il biglietto, il gioco era fatto: tre ore abbondanti di treno e avrebbe raggiunto la meta.

E poi c’era stata la telefonata.

Lorenzo arrivò esattamente dopo venti minuti. Parcheggiò davanti alla stazione e si diresse subito all’interno. La vide subito, la sua agitazione e i suoi movimenti frenetici gli fecero quasi tenerezza.

Lei non si accorse della sua presenza sino a quando il ragazzo non le fu accanto. Alzando un poco il capo incrociò subito i suoi occhi color nocciola. Il viso le s’illuminò in solo istante, il suo sguardo incominciò a brillare dall’emozione e il cuore a battere all’impazzata. E capì per quale motivo aveva deciso di salire sul treno che l’aveva condotta sin lì, perché sapeva che rivedere Lorenzo avrebbe fatto sparire la sensazione di panico che l’aveva tormentata.

Lorenzo sorrideva, ma continuava a domandarsi cosa mai passasse per la mente di quella bizzarra ragazza. «Ciao.»

Lei abbassò timida lo sguardo, fissandosi le mani. «Ciao.»

«Non potevi resistere ancora una settimana senza di me?» domandò scherzoso, mentre diminuiva lo spazio tra loro scostandole un ricciolo corvino dal viso. «Dai, vieni. Andiamo a casa, così eviteremo di congelarci. E nel frattempo magari riacquisterai la parola.»

La condusse all’esterno, aprendole le porte da vero gentiluomo, e le indicò la macchina, una piccola Panda grigia parcheggiata a pochi passi da loro. A differenza di Selene, Lorenzo pareva perfettamente a proprio agio: non gli era nuova l’incostanza della ragazza, né l’indole lunatica, e aveva imparato ad aspettare il momento in cui avrebbe cessato di rimanere chiusa in se stessa e sarebbe tornata a essere loquace. Sapeva essere divertente e spiritosa, intelligente e profonda, ma queste sue qualità emergevano pian piano e solo se si aveva pazienza di aspettare che prendesse confidenza e, anche in quel caso, i momenti in cui si estraniava dalla realtà non erano infrequenti.

Il tragitto in macchina procedette con tranquillità, a quell’ora le strade non erano particolarmente trafficate, cosicché raggiunsero la casa di Lorenzo in poco più di dieci minuti.

«Grazie» mormorò la ragazza, appena prima che Lorenzo mettesse il freno a mano e sfilasse le chiavi dal quadro.

«Figurati», scrollò le spalle con scioltezza e la invitò a seguirlo verso il portoncino della piccola palazzina, lungo le due rampe di scale e, infine, oltre la porta di casa.

Selene, sebbene vi fosse già stata in passato, mosse qualche passo incerto nell’ingresso, impacciata e a disagio. «Forse non sarei dovuta venire» borbottò tra sé.

Lorenzo parve rabbuiarsi al sentire quelle parole, così decise di prenderla per mano e condurla lungo il corridoio sino in salotto. La fece accomodare sul divano, invitandola a dare una sbirciatina tra gli scaffali della libreria, mentre usciva dalla stanza per tornare qualche minuto più tardi con una vassoio tra le mani. Lo appoggiò sul tavolo in legno al centro della sala e guardò la ragazza.

«Federico García Lorca» osservò, sedendole accanto, «scelta interessante.»

«Suppongo tu voglia sapere per quale motivo ti sono piombata in casa, non è vero?»

Lorenzo storse leggermente la bocca, pensieroso. «Credo di conoscerti abbastanza bene per accettare il fatto di non ricevere alcuna spiegazione. Non è necessaria, e poi mi fa piacere vederti. Così mi distraggo un po’ dallo studio.»

«Posso dirtelo ugualmente?»

Lui fece un cenno d’assenso con il capo.

Sospirò profondamente, «avevo terribilmente bisogno… avevo bisogno di un…» balbettò, prima che le parole le morissero sulle labbra. Lorenzo la strinse in un abbraccio dolce, con una delicatezza che aveva sempre e solo riservato interamente a lei, e incominciò ad accarezzarle i capelli con tenerezza, assorto. Lei chiuse gli occhi, accoccolata contro il suo petto, e per un momento la sua mente fluttuò lontana dalla realtà, lontana dalle sue paure.

«Grazie» mormorò Selene.

Lorenzo ricambiò il sorriso, «per così poco?» ribatté. Quando sciolse l’abbraccio cercò il suo sguardo sfuggente.

Le aveva visto quel vacuo scintillio negli occhi in rare occasioni, il più delle volte, infatti, lei riusciva a controllarsi, ma non quella volta. Eppure Lorenzo manteneva un ricordo vivido di quei momenti passati e proprio per quello, forse, non riusciva a capire per quale motivo, lì tra le sue braccia, lei pareva essere totalmente assente. Era come se i suoi brillanti occhi verdi stessero scrutando un altro mondo, disgiunto dalla realtà e là si fossero smarriti, trovando una sospirata serenità. Di solito le capitava quando terminava la lettura di un romanzo, si estraniava a tal punto che per un paio di giorni non proferiva parola, nel disperato tentativo di appigliarsi alla sciocca speranza che vi fosse la possibilità che i mondi di cui leggeva e che amava si concretizzassero. Non era mai accaduto, naturalmente.

Col tempo Lorenzo aveva imparato a conoscere queste sue sfaccettature e ad apprezzare e rispettare ogni sua stramberia, poiché sapeva che lei avrebbe fatto altrettanto. Eppure nemmeno lui era mai riuscito a comprendere appieno il suo ardente desiderio di fuga, di estraniamento…. Oblio. Selene era ossessionata dalla possibilità di scivolarvi, la seduceva. In pochi ne erano a conoscenza, tutt’al più, dopo un primo incontro, potevano cogliere lo scarso valore che era solita attribuire alla vita, ma non il litigioso rapporto che intratteneva con essa.

Fu quello che Lorenzo, quel giorno, vide riflesso nei suoi occhi: indifferenza.

Un vagare senza meta né scopo, l’indolenza con cui affrontava la vita. Tuttavia sarebbe stato frettoloso definirla propriamente accidia, tutt’altro, solitamente riusciva a entusiasmarsi per tutto, sebbene di rado lo desse a vedere, ma quel tutto, per quanto soddisfacente sul momento, non era mai abbastanza. E quell’abbastanza poco aveva a che fare con la smania o l’avarizia, quanto piuttosto con la mancanza di senso. Selene era convinta che la vita, l’esistenza stessa, non avesse alcun senso e che ciascuno dovesse darglielo, a seconda delle proprie inclinazioni. Ma lei non ci riusciva e più non ci riusciva, più si convinceva che forse, in fin dei conti, non bisognava attribuirgli proprio nulla. Forse il trucco era considerare la vita un viaggio, un’occasione, qualcosa di passaggio, senza un significato preciso, semplicemente una sfida. Non riusciva a evadere dai suoi schemi mentali, quegli stessi che la tenevano intrappolata. Malgrado ciò, tutto le era, in misura più o meno simile, indifferente.

Tutto e tutti.

In quel momento Lorenzo comprese per la prima volta quanto profondamente soffrisse e quanto detestasse essere così. E a un tratto acquisì significato tutto quello che le aveva sentito dire di se stessa, capì che lei si odiava… Si odiava e avrebbe voluto cambiare, lo desiderava tanto, ma la lotta era impari: per quanto si sforzasse di rendere il mondo a lei più congeniale, il mondo non sarebbe certo potuto cambiare per lei.

Aveva perso in partenza.

Agli occhi di molte persone il suo modo di essere non sarebbe parso più che un capriccio e le avrebbero fatto notare senza indugi che le questioni importanti erano altre e le brutture del mondo erano ben peggiori di quelle che lei aveva conosciuto. Selene non si sarebbe mai permessa di controbattere a tale accusa, riconosceva perfettamente la verità in essa celata, eppure, avrebbe potuto far notare, con molta umiltà, che lei possedeva una diversa visione del mondo e ne dava una differente lettura. Era persuasa, infatti, dalla convinzione che la maggioranza delle persone si limitassero a sopravvivere, alcune con serena rassegnazione, altre con la mera speranza di poter aspirare a un futuro migliore, altre addirittura credendo di vivere; ma per lei, qualunque fosse il caso, non aveva senso vivere nel patimento della propria condizione.

Era pazza? Forse.

Aveva una propensione all’annichilimento? Sicuramente.

Aveva bisogno di essere salvata da se stessa? Disperatamente.

«Hai di nuovo quello sguardo» osservò Lorenzo «ma questa volta non hai nessuna scusa. Quindi vorrei che fossi sincera con me. Cosa ti sta succedendo?»

Tra loro si acquattò un timido silenzio. Così, mentre Selene fuggiva lo sguardo di Lorenzo abbassando il capo sulle mani, lui alzò un braccio, le scostò una ciocca di capelli ricadutale sul viso e facendole scivolare con delicatezza la punta delle dita sulla guancia, la convinse a dischiudere le palpebre e guardarlo.

«Lo sai che puoi raccontarmi tutto» le assicurò, «dopotutto sei stata tu a lasciarmi qualche settimana fa, io non avevo la benché minima intenzione di compiere una simile sciocchezza.»

Le sue parole, prive di livore e intenzionate a sdrammatizzare un poco la situazione, riuscirono a strapparle un sorriso imbarazzato, e colpevole.

«Non questa volta. Devo assumermi la responsabilità delle mie azioni, svincolando ogni altra persona dalla possibilità di essere coinvolta» disse, e non aggiunse null’altro sull’argomento.

«Rispetterò la tua scelta.»