Attacco allo Stivale

2,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Alessandro Cirillo

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-117-4 Categorie: , Tag:

Descrizione

Attacco allo stivale è un thriller d’azione ambientato in un futuro prossimo, ed è un racconto particolarmente inquietante perché il terrorismo internazionale di matrice islamica fondamentalista è, come ben sappiamo, una realtà con la quale l’Occidente ha dovuto e probabilmente dovrà ancora fare i conti. Il Joa, acronimo di Justice of Allah, è l’organizzazione terroristica più potente del mondo, fondata da un ex funzionario dell’intelligence del regime di Saddam Hussein. Per lanciare il suo attacco contro le nazioni amiche di Israele e alleate degli Stati Uniti, il gruppo sceglie come primo obiettivo l’Italia, arruolando tra le sue file Husam Ferreri, un giovane di origine marocchina, divenuto esperto di esplosivi nell’Esercito italiano, che dovrà compiere alcuni gravi attentati mentre, in parallelo, il Joa si impadronisce di un aereo russo con capacità stealth, ossia invisibile ai radar, e lo programmerà per distruggere il Governo italiano, in occasione della festa della Repubblica. Il compito di sventare i piani dell’organizzazione sarà affidato a Nicholas Caruso, che lavora per i servizi segreti, e al suo amico Ruben Monteleone, membro del G.I.S., le forze antiterrorismo dei Carabinieri.

Il romanzo, dal ritmo incalzante, molto ben congegnato e attentamente documentato, rappresenta il tentativo – riuscito – di scrivere un “page-turner” italiano, che non ha nulla da invidiare ad autori ben più famosi del mondo anglosassone. Come nei romanzi di Ken Follett, di Tom Clancy e di altri grandi maestri del genere, sappiamo che, alla fine, i buoni vinceranno… ma non sappiamo come, e un buon thriller ci tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Proprio come questo romanzo di Alessandro Cirillo.

INCIPIT

Era stata una bella serata. La coppia uscì dal ristorante con aria soddisfatta dopo aver mangiato bene e a sazietà. Quel giorno era il quarto anniversario del loro matrimonio. Il maresciallo Husam Ferreri, del 32° reggimento Genio Guastatori, ripiegò con cura lo scontrino rilasciato dal proprietario e lo mise in una tasca del pantalone. Un furgone transitò lungo la strada davanti al locale producendo un soffio d’aria che mosse sensibilmente i suoi capelli ricci e corti. Con entrambe le braccia cinse affettuosamente la vita di sua moglie Amina, sentendo il contatto con il vestito bianco lungo fino alle ginocchia che lasciava scoperte le spalle. La carnagione scura e i morbidi capelli neri facevano intuire l’origine nordafricana della donna. Amina si sollevò sulla punta dei piedi e baciò sulla bocca il marito. Il contatto con le labbra carnose della moglie fece fremere Husam di desiderio.

“Ti amo” le sussurrò.

“Anche io” rispose Amina sorridendo.

Si staccò da lui, facendo scivolare lentamente una mano sul suo petto muscoloso, con fare volutamente provocatorio.

“Che dici, andiamo a farci due passi?” propose al marito.

“E se andassimo direttamente a casa per infilarci nel letto?” rilanciò Husam.

“Pazienza. Ogni cosa a suo tempo.” Sapeva come fare crescere il desiderio del suo uomo.

Cominciò ad allontanarsi dal ristorante stringendo la mano di Husam. Nell’altra mano teneva una piccola borsetta nera e una rosa che il marito aveva acquistato da un ragazzo indiano all’interno del locale.

La temperatura era finalmente diventata più gradevole, dopo che il sole aveva picchiato tutto il giorno. Continuava a fare caldo, ma si poteva passeggiare senza correre il rischio di trovarsi in un bagno di sudore dopo un centinaio di metri. In giro c’erano tante altre persone che come loro stavano facendo la tipica passeggiata per il centro di Torino. Via Garibaldi, piazza Castello, via Roma. Tutti i ristoranti erano pieni e nelle gelaterie stazionavano permanentemente code di persone che non vedevano l’ora concedersi un dolce refrigerio. Un ragazzo in bicicletta li superò facendo lo slalom tra i passanti.

Mentre camminava rilassato, Husam fece mentalmente un fermo immagine della sua vita. Tutto era perfetto. Arruolarsi nell’Esercito Italiano gli aveva permesso di seguire un interesse che aveva coltivato fin da ragazzo: gli esplosivi. Presso la scuola del Genio aveva conseguito una serie di qualifiche che facevano di lui un grande esperto. La sua competenza gli aveva permesso di operare in diversi teatri di guerra e di viaggiare per il mondo.

A rendere la sua vita perfetta non era però il lavoro, ma sua moglie Amina. L’aveva conosciuta mentre frequentava l’ultimo anno del corso per sottoufficiali a Viterbo. Era stato amore a prima vista, come succede nei film romantici. C’era stato un breve fidanzamento e poi il matrimonio.

Stava vivendo veramente una vita felice, pensò voltandosi verso di lei. Tuttavia, come ogni volta, il pensiero di quanto era felice gli faceva ricordare quanto aveva sofferto in passato.

Husam era nato in Marocco ventotto anni prima. La madre era morta durante il parto e tutto ciò che gli rimaneva di lei erano un paio di foto sbiadite. I primi cinque anni di vita li aveva passati a Casablanca insieme al padre Issah. Conducevano una vita povera, motivo per cui suo padre aveva deciso di emigrare in Italia. Fu così che si ritrovarono in una grigia Torino di inizio anni novanta. Issah trovò lavoro in un cantiere edile ma venne assunto senza un regolare contratto. Il piccolo Husam veniva accudito a turno dalle donne della comunità di marocchini che si era creata nella zona dove viveva, nei pressi del mercato di Porta Palazzo.

Dopo alcuni mesi, Issah morì tragicamente sul lavoro cadendo da un’impalcatura. Era una domenica e sul posto di lavoro erano presenti solo il titolare dell’impresa edile e un altro lavoratore marocchino chiamato Abdul. Il datore di lavoro fece sparire il cadavere con la complicità di Abdul, minacciando di licenziarlo. Ai Carabinieri incaricati di svolgere le indagini, entrambi dichiararono che Issah quel giorno non si era mai presentato in cantiere. Le indagini non portarono a niente, quindi si pensò che Issah fosse semplicemente scappato, abbandonando il figlio.

Husam ricordava ancora l’ultima volta che aveva visto suo padre. Si era svegliato presto convinto di poter passare la giornata con lui. Con suo grande disappunto aveva scoperto che Issah stava andando a lavorare.

“Perché vai a lavorare?” gli aveva domandato il piccolo Husam con il broncio.

“Perché il mio capo ha bisogno di me” aveva risposto paziente Issah.

“Ma avevi detto che saremmo stati insieme tutto il giorno.”

“Lo so, piccolo mio. Ma stai tranquillo, perché devo stare via solo alcune ore. Torno per pranzo e poi ti porto al parco. Va bene?”

“Sì” aveva risposto il bambino poco convinto.

“Ora devo andare. Tra pochi minuti arriverà la signora Rachida. Non farla arrabbiare.”

Issah si era chinato per dare un bacio a suo figlio e poi era uscito di casa per l’ultima volta.

Dopo la morte di suo padre, Husam fu adottato da una coppia che non poteva avere figli e crebbe in un paese vicino a Torino, prendendo il loro cognome: Ferreri. Il rapporto con i suoi genitori adottivi fu sempre molto conflittuale, era un ragazzo taciturno e nonostante l’affetto che sentiva dai nuovi genitori non riusciva ad aprirsi con loro. Il suo inserimento in società non fu meno difficoltoso, socializzava poco con i compagni e spesso veniva preso in giro per le sue origini nordafricane. Nonostante ciò, Husam era bravo a scuola e parlava l’italiano meglio di molti bambini nati da genitori italiani.

A dodici anni per poco non incendiò la cantina facendo esperimenti con dei petardi: fu così che scoprì la sua passione per gli esplosivi. Finite le scuole superiori, vinse il concorso per entrare nella scuola sottoufficiali di Viterbo. Il successo ottenuto lo riempì d’orgoglio. La gioia però durò poco. Un mese prima di partire lo contattò Abdul. Stava morendo per un tumore e desiderava rendere onore a Issah prima di abbandonare questo mondo. Husam si ricordava vagamente di lui e non lo incontrava da quando era stato adottato. Era cresciuto nella convinzione che il padre lo avesse abbandonato, motivo per cui aveva iniziato a odiarlo. Fu uno shock scoprire la verità. Si sentì in colpa per aver provato astio per il proprio genitore durante tutti quegli anni e, nella vana speranza di rendergli un po’ di giustizia, denunciò il fatto ai Carabinieri. Le indagini che seguirono si rivelarono infruttuose, il cadavere di Issah non fu mai ritrovato e la sola denuncia non fu sufficiente per far riaprire il caso. La delusione che seguì destabilizzò Husam al punto da indurlo quasi a rinunciare all’Esercito.

Non riusciva a sopportare l’idea del corpo abbandonato del padre, senza la possibilità di potergli dare un giorno degna sepoltura. Comprese che non poteva più fare niente per il povero Issah, tuttavia ora sapeva di non essere stato abbandonato. Fu proprio questo che lo spinse ad andare avanti e partire per Viterbo.

Amina si accorse che suo marito si era accigliato. Lo conosceva abbastanza da capirne il motivo. Doveva distrarlo dai suoi pensieri.

“Scommetto che ti sei pentito di non aver preso quel tiramisù. Te lo stavi mangiando con gli occhi” disse.

Il maresciallo si era talmente estraniato da dover fare mentalmente il punto della situazione. Sì, il tiramisù. Al ristorante avrebbe voluto prendere il suo dolce preferito ma Amina aveva proposto di andare a prendere un gelato.

“Effettivamente l’avrei preso. Però mi accontenterò del gelato” rispose dopo un attimo di esitazione.

“E va bene” disse Amina con studiata voce sensuale. “Vorrà dire che quando arriviamo a casa, per farmi perdonare, ti offrirò un dolce tutto speciale: produzione propria.”

“Ecco, questa è una cosa che mi piace” rispose il marito pregustando il momento.

Arrivarono a un incrocio e constatarono che il semaforo pedonale era verde. Mentre si trovavano al centro dell’incrocio, il telefono di Husam cominciò a squillare. Il maresciallo lasciò la mano della moglie per prendere il cellulare. Guardò sul display e scoprì che la chiamata proveniva dalla caserma.

“Pronto” rispose allegramente.

“Salve Ferreri. Sono il tenente Gobetti.”

“Buonasera tenente.”

La mente di Husam, anche se impegnata nella conversazione, registrò che sua moglie stava tornando indietro.

“Oh, mi è caduta la rosa che mi hai regalato” la sentì dire.

A quel punto si fece tutto maledettamente troppo lento. Lui si girò e scoprì che sua moglie si trovava in mezzo all’incrocio. Poi, quel suono, forte, nitido, raggelante. Da quel momento per lui fu come vedere se stesso da una prospettiva diversa, lontana. Un’automobile sfrecciò a folle velocità proprio nel punto dove c’era la sua Amina. L’autista era completamente ubriaco e non tentò neanche di frenare. Solo dopo aver colpito la donna schiacciò il pedale del freno e arrestò la sua Bmw, ma era troppo tardi. Il corpo di Amina rimbalzò sul parabrezza e rovinò a terra. La donna morì sul colpo battendo la testa sul duro asfalto. Husam lasciò scivolare il telefono dalle mani. L’apparecchio cadde e si aprì in due parti facendo schizzare via la batteria. Si avvicinò al corpo ormai senza vita di sua moglie sentendo le gambe pesanti, come immerse in una melma appiccicosa. Gli sembrò di metterci un’eternità per raggiungerla. Quando finalmente arrivò da lei, si chinò lentamente e la prese tra le braccia. Sull’asfalto c’era una vistosa macchia rossa nel punto in cui era appoggiata la sua testa. Una delle sue scarpe si era sfilata finendo lontana dal corpo. Sul suo vestito bianco erano comparse delle macchie di sangue che provenivano dalla bocca. Husam si soffermò a osservare il volto di sua moglie. Sul mento colava un grumo di sangue scuro mentre gli occhi erano rimasti aperti in uno sguardo sorpreso. Intorno a lui le prime persone cominciarono ad accorrere e qualcuno chiamò i soccorsi. In disparte, l’uomo al volante della Bmw, riacquistando di colpo un barlume di lucidità, prese il telefono e digitò con le mani tremanti il tasto chiamata rapida. La voce dall’altra parte rispose al sesto squillo.

“Pronto Flavio, che succede?”

“Papà ho combinato un casino. Ho ammazzato una donna con la macchina.” La voce era impastata dall’alcol e dalla paura.

L’uomo dall’altra parte della cornetta, Ambrogio Rossi, facoltoso imprenditore e prossimo all’entrata in politica, fece sfoggio di una calma e una freddezza sconcertante.

“Dimmi dove sei che ti raggiungo. Non dire una parola fino a quando non arrivo con l’avvocato. Stai tranquillo, penso a tutto io.”

In mezzo alla strada, Husam era in ginocchio con sua moglie tra le braccia, piangeva come quando da bambino aveva saputo che non avrebbe mai più rivisto suo padre. In sottofondo si udiva il vociare di diverse persone, il rumore del campanello di un tram, un colpo di clacson, il suono lontano di una sirena. Ma lui non sentiva tutto questo, anzi, non sentiva più nulla. La sua Amina se ne era andata e con lei la sua vita.

Recensioni

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Attacco allo Stivale”

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *