Amore e guerra in Val Pusteria

4,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Gemma Piazzardi

Note sull’autore

COD: ISBN: 978-88-5539-379-9 Categoria: Tag:

Descrizione

Sullo sfondo delle Tre Cime di Lavaredo, nel Sudtirolo austriaco di fine Ottocento, l’albergo “Due Cigni” conosce una continua crescita e miglioramento, generazione dopo generazione della famiglia Stolzer: da Ingrid e Martin, i fondatori, ai figli Joachim, Reinhold e Josefa, ai loro nipoti Franz e le gemelle Elisabeth e Victoria.

Nel racconto di un’ormai anziana Elisabeth, la “piccola storia” della famiglia e degli amori delle sue donne si inscrive nella “grande storia” dell’Impero Austroungarico e poi delle due guerre mondiali, che travolgono anche il tranquillo Sudtirolo. Dopo la Prima guerra mondiale, il Sudtirolo, di lingua e cultura tedesca, fu assegnato all’Italia e pochi anni più tardi dovette fare i conti con l’”italianizzazione” voluta dal fascismo e con gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, a cui si aggiunse la presenza di un folto gruppo di cosacchi che, durante l’invasione dell’Unione Sovietica, avevano scelto di stare dalla parte di Berlino e di combattere in funzione antipartigiana, con la promessa illusoria di un territorio in cui avrebbero potuto insediarsi.

INCIPIT

quando si avvicina la sera anche se si è sciatori provetti. Del resto, gli incidenti capitano più di frequente a chi è bravo e, spesso, anche spericolato.

Dopo una vita tra queste montagne lo so, solo guardando in faccia uno sciatore, se è predisposto agli incidenti e, quindi, se ne sarà vittima, perché ha sempre quell’aria di voler sfidare il destino e andrà nei posti più pericolosi e non ricorderà che la montagna è una madre ma anche una matrigna di cui bisogna avere una giusta paura, non esagerata, se no non ti muovi più, ma appunto, giusta.

Se trovi segnalato che una pista è difficile e tu non hai tutte le capacità per percorrerla, non ti devi provare, ma come si fa a dirlo ai giovani? Ai giovani che hanno la propensione a osare?

Del resto, non devo troppo scandalizzarmi, anch’io in parte ero così e anch’io ho corso il pericolo di perdere la vita.

Avevo solo vent’anni, come tanti di questi sciatori, ma non ho rischiato per sport o per dimostrazione di coraggio ma perché ho dovuto farlo, non c’è stata in quel momento scelta per me e per altri ragazzi come me, ma perché dico ragazzi? Noi a vent’anni eravamo stati costretti a crescere in fretta e a diventare adulti, non come ora che la vita si è allungata e si è considerati ragazzi a quarant’anni e, qualche volta, anche a cinquanta.

Noi crescevamo anche prima perché lavoravamo, non lavori pesanti, per carità, almeno nel mio caso, io ero comunque sempre la figlia dei padroni ma un aiuto, soprattutto in cucina, lo davo sempre e non mi sentivo affatto sfruttata, anche se c’erano parecchi camerieri pagati e altri che si alternavano e ricevevano vitto e alloggio e “argent de poche” ed erano ben contenti così perché apprendevano l’arte della ristorazione ed è un’arte anche quella di prendere le ordinazioni, non è una cosa semplice come può sembrare dall’esterno. Per questo anch’io volevo imparare bene. A poco a poco mi ero impratichita di tutto, il riordino delle stanze, la cucina, la nostra semplice e gustosa cucina, i canederli, gli spätzli, lo strudel ed ero così simpatica ai clienti che molti volevano essere serviti da me.

Sono contenta di occuparmi ancora di tutte queste cose anche se la conduzione dell’albergo “Zwei Schwäne” è affidata a mio nipote, bravo come me. È pieno di rispetto, di affetto, di riguardi, non c’è decisione che non mi sottoponga e io sono, più o meno, sempre d’accordo.

Devo dire che, in verità, tutti sono straordinariamente gentili con me, non posso proprio lamentarmi di niente. Lo fanno perché sono, ancora, la padrona e l’albergo è intestato a me sola o perché ho novantatré anni e alla mia età è obbligatorio il rispetto?

Non lo so, forse sono solo, semplicemente, affettuosi e cortesi perché di buon carattere. Io non penso, come dicono tutti, che viviamo in tempi in cui la gente si odia, ho sempre creduto che, in ogni luogo e sotto qualsiasi cielo, nascano persone che vanno verso gli altri e, se qualcuno dice qualcosa contro le mie idee, fingo di non sentire. Sì, apparentemente ascolto, ma in realtà non sento niente, non voglio sentire niente.

Io so cos’è il dolore che ti morde, che ti attanaglia, ti distrugge e quello che mi si racconta, al confronto, è acqua fresca, niente di più.

Certo non desidero che venga un’altra guerra come quella che ho vissuto, per fare confronti e per apprezzare la vita. Allora, quando poteva finire da un momento all’altro, come si godeva di più l’essere semplicemente vivi! Quanta speranza c’era in un futuro migliore!

E il futuro migliore è arrivato, ma non come lo pensavo io.

Sono grata alla medicina che mi consente di essere ancora viva, benché su una sedia a rotelle e quindi non disconosco i progressi della scienza, ma molte cose mi sembrano così inutili e superflue! Prendiamo la cucina, per esempio: io ho sempre saputo cucinare e bene, guardavo il nostro cuoco Hubert e copiavo le sue ricette; quindi, sono in grado di apprezzare un buon piatto fatto con cura, ma adesso c’è un’inflazione di ricette, alla televisione ci sono continui programmi in cui ti convincono che, anche per tagliare una cipolla, ci vogliono qualità straordinarie e capacità semidivine, ogni cosa viene gonfiata e montata fino all’inverosimile. Ogni piatto non ha più il nome che gli spetta ma un insieme di parole che, se le si analizza, non significano niente e gli chef sono osannati come dei divi. Ora si chiamano “stellati” a seconda delle stelle del loro ristorante e sono venerati come portatori di una nuova scienza. Ma come dovrebbero essere considerati allora quegli uomini che hanno fatto scoperte che hanno salvato milioni di persone? Per esempio, Fleming scoprì la penicillina e non si morì più di polmonite, ma non c’è nessun busto in suo ricordo, se non forse nella città d’origine, dovrebbe essercene uno in ogni ospedale; invece, applicano la sua scoperta, ma non gli dedicano un pensiero. Eppure, come ho detto, io sono sempre stata brava nel seguire vecchie ricette e nell’elaborarne di nuove e mio padre, che era molto severo, si lasciava spesso sfuggire un “non male”, che per lui era il massimo. Anche ora, ogni sera, il maître mi presenta il menu del giorno dopo e la mia parola è legge. Ma perché ho precisato tutto questo? Perché, se non lo facessi, molti potrebbero dire che critico perché sono anziana, sono contro i tempi nuovi, vorrei essere giovane e non posso, ma non è così. Io non invidio e non rimpiango la giovinezza, sono serena e in pace, godo i piaceri della mia età, sono felice per la vista delle Drei Zinnen dalla finestra della mia camera che è la stessa di quand’ero giovane e so di aver avuto una grande felicità che ricorderò per sempre e che mi fa sentire una privilegiata. Quante persone al mondo non hanno avuto, non dico un giorno, ma neanche un’ora di ciò che ho avuto io?

Tanti vorrebbero dimenticare le esperienze dolorose, io no, perché sono unite alla gioia e voglio ricordare finché la testa funzionerà.

Ana, la mia badante rumena, mi guarda, non abbiamo bisogno di parlare, è con me da cinque anni, ora ne ha ventitré e ci siamo così accomodate nella nostra relazione che non abbiamo nessuna divergenza, ci intendiamo su tutto e sappiamo perfettamente che cosa può infastidirci.

Lei mi è grata perché l’ho accolta e l’ho tenuta per un anno senza permesso di soggiorno e le ho consentito una vita agiata come la mia.

Non le chiedo niente di più di quello che lei può fare, cerco di darle qualche consiglio quando esce nelle sue ore libere, non vorrei che si innamorasse di qualcuno che non l’apprezzasse o la trattasse male, anche se nei nostri paesi c’è rispetto per le donne e controllo sociale, ma non si può mai dire.

È una bella ragazza e voleva iscriversi all’università in Romania, ma non ne aveva i mezzi e credo che piaccia a molti in paese, ma non so se lei vorrebbe vivere per sempre qui tra queste montagne; per me è diverso, io ci sono nata e non mi sono allontanata mai se non per brevi periodi e, se una morte può essere bella, io credo che la mia lo sarà, perché sarò seppellita nel piccolo cimitero appena fuori dalla chiesa di San Nicolao e, se si sente o si vede qualcosa quando si è solo spirito, io vedrò la luce rosa dell’alba e quella dorata del tramonto. Da noi resiste ancora la tradizione di seppellire i morti nel prato accanto alla chiesa, da poco è stato allargato, ma io mi sono premunita per tempo per avere non un qualsiasi posto, ma uno preciso.

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