Agata e il segreto delle scarpette tecnomagiche

0,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Nicoletta Parigini

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-071-9 Categoria: Tag:

Descrizione

Agata è una dodicenne cresciuta senza il padre e con una madre single in carriera perennemente assente, che vive in un paesino vicino al mare, di nome Sabbiafine, con la nonna Lidia Corner, ballerina professionista ormai ritirata a vita privata. In questo luogo di provincia tranquillo, avvengono all’improvviso delle strane vicende che coinvolgono un paio di scarpette della nonna Lidia e il passato di Agata. La giovane protagonista, frugando nella soffitta della nonna in cerca di informazioni sul padre sconosciuto, scoprirà che le scarpette da ballo, che la nonna conserva con cura e che non ha mai usato in tutta la sua vita, sono maledette e portano un segreto lungo tre generazioni. La grande ballerina e maestra di danza della nonna, Olghina Oneglia, gliele donò per sfuggire a un inseguitore disposto a uccidere pur di riuscire a entrare in possesso del congegno miracoloso contenuto nelle scarpette. Al sicuro per quasi cinquant’anni le scarpette, come il loro segreto, metteranno in pericolo, durante un evento di gala organizzato nella cittadina di provincia, le due donne fino a un finale di rivelazione che porterà pacificazione e magia nella vita di tutti i protagonisti.

Attraverso il personaggio di Agata, l’autrice riesce a cogliere appieno i turbamenti dell’adolescenza e a gettare uno sguardo anche sulla complessità dell’umanità in generale anche se attraverso gli occhi di una donna in divenire che, grazie alla sua intelligenza e sensibilità, riuscirà a superare paure e delusioni con grande coraggio. Questo bel romanzo di formazione, di genere avventuroso con tratti di poliziesco, piacerà sicuramente alle adolescenti e anche ai loro genitori.

INCIPIT

Il grande orologio della stazione segnava le sedici, quando Lidia Corner passò accanto alla ferrovia, superò il passaggio a livello e imboccò il viale che portava a casa.

Abitava in uno stravagante villino ottocentesco, con pareti tappezzate di cupa edera screziata, alte finestre con i vetri riquadrati e con una graziosa veranda, gravida di luce, addossata alla parete sud. Il tetto, di lavagna nera come la pece, era coronato da snelle torrette e comignoli aguzzi, che sembravano rispondere al vento dell’est con un impercettibile dondolio.

Una fitta e alta siepe (tra cui serpeggiavano tenere roselline selvatiche che a primavera regalavano bracciate di piccole corolle nivee) circondava il giardino, e poiché la casa era piuttosto arretrata rispetto alla strada, i passanti vedevano spuntare dalle fronde soltanto il cigolante galletto segnavento che svettava dalla cima della torretta a ovest, e i pennacchi di fumo lattiginoso che il comignolo a forma di drago (il più alto tra tutti) sputacchiava incessantemente da novembre a marzo.

La casa sorgeva in un tranquillo quartiere, dove la notte c’era un silenzio soprannaturale, e dove la gente, forse troppo presa a potare i rampicanti, trapiantare bulbi, tagliare l’erba o fare il bagno al cane, si faceva gli affari propri.

Lidia apprezzava enormemente la discrezione che contraddistingueva i suoi vicini. Si dava il caso infatti, che lei fosse stata fino a pochi anni prima, una famosa ballerina classica, e benché ormai poche persone la riconoscessero, sentiva di dover fare vita piuttosto ritirata per sfuggire alle seccature che rendono difficile l’esistenza alle celebrità.

Così passava il suo tempo a curare il giardino, mandare avanti la casa, leggere i suoi libri, e badare ad Agata, la sua nipote preferita, una dodicenne alta e tutta ossa, che aveva pagliuzze dorate negli occhi verdi (gli occhi della sua bisnonna), e che si guardava in giro con l’aria di essere sempre un po’ sovrappensiero.

Nonna e nipote vivevano insieme da quando la madre di Agata, Margherita Minelli, aveva cominciato a lavorare nelle ambasciate; da allora la donna girava il mondo senza sosta, e poiché aveva rotto con il padre della bambina prima che lei nascesse, Agata stava dalla nonna. Era impensabile che seguisse Margherita nei suoi vagabondaggi, e anche se sembrava crudele, non c’era stata altra scelta.

Non è che Lidia approvasse troppo le scelte di sua figlia, e le spezzava il cuore assistere agli addii tra la bambina e sua madre quando quest’ultima tornava al lavoro dopo un periodo di vacanza, ma, chiaramente, non poteva rifiutarsi di tenere con sé la piccola, né, d’altra parte, l’avrebbe mai voluto fare.

Certo, ogni tanto Agata le procurava qualche piccolo grattacapo, ma tendeva a essere piuttosto indulgente e sorvolava su cose come gli orari di rientro, l’ordine in camera, la dieta vegetariana (“pensa nonna, era un vitellino…” uggiolava Agata con occhi imploranti, rifiutando una squisita fettina) e così via.

Del resto Agata aveva sempre dimostrato di essere ben più matura di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da una ragazzina della sua età; leggeva moltissimo, teneva un diario e guardava poca tivù.

Le cose sarebbero andate avanti così per molto tempo ancora, pensava Lidia (contava di vivere ancora a lungo, visto che godeva di ottima salute e tutti nella sua famiglia erano stati longevi); almeno fino a quando Agata fosse stata abbastanza grande da andare a vivere da sola. Fino a quel momento avrebbero continuato ad abitare la vecchia casa di famiglia nella tranquilla Sabbiafine, una piccola città di mare.

Nonostante fosse originaria di Sabbiafine, Lidia Cornèr non era mai stata in spiaggia: non ne aveva mai avuto il tempo, né la volontà. Da giovane, durante gli anni di studio e poi di attività come ballerina, stava a Milano, e spesso era all’estero. Tornava a Sabbiafine d’estate, solo per godere del fresco del suo giardino e della tranquillità del suo quartiere.

Quando poi aveva sposato Oreste Minelli, un famoso industriale piemontese, le sue visite a casa si erano ridotte perché suo marito trovava la provincia scomoda e banale, e soprattutto, aveva a noia il suocero.

Lidia aveva ricominciato a frequentare assiduamente Sabbiafine dopo la separazione da Oreste ( il quale a un certo punto aveva chiuso baracca e burattini, era partito per l’India o giù di lì), e dopo qualche anno, quando si era ritirata dall’attività, era tornata a vivere stabilmente nella casa della sua famiglia.

A quel punto avrebbe potuto frequentare la spiaggia ogni giorno, ma ormai si sentiva troppo vecchia per indossare un costume da bagno. Poteva andarci con una vestaglia addosso, le avevano detto alcune sue conoscenti quando l’avevano invitata ad andare a giocare a bocce con loro, ma in fondo a lei la spiaggia non era mai piaciuta.

Non per questo impediva a sua nipote di andarci, anzi, Agata c’era andata tutti i giorni quell’estate, e la sua pelle, di solito molto pallida, aveva assunto una bella sfumatura ambrata.

Pensava a lei quella sera, mentre guardava una foto fatta a Capri una primavera di tanti anni prima, quando aveva la stessa età di Agata ed era con i suoi da certi loro parenti. I visi sorridenti della sua famiglia, stampati in bianco e nero su un cartoncino un po’ sgualcito, la guardavano da una cornice d’argento, posata su un mobile dell’ingresso.

Provò a calcolare quanti anni fossero passati da allora. Un’intera esistenza. Eppure riusciva a ricordare con precisione certi particolari di quella vacanza; se solo si sforzava un istante, improvvise e lucide reminescenze investivano i suoi sensi e la stordivano quasi come un’allucinazione: l’odore acre dei mitili aggrappati agli scogli, la risata cristallina di sua madre, il riverbero del sole di mezzodì, affioravano alla sua coscienza portandosi dietro una struggente nota di malinconia.

Le sembrava che soltanto un soffio di vento separasse quella gita, la sua giovinezza, dal presente. Lidia si era ritrovata vecchia all’improvviso. A un certo punto della sua vita (più o meno quando aveva scoperto folti ciuffi canuti accanto alle tempie e profonde increspature sulla fronte, e dal tacco “dieci” che aveva sempre portato con disinvoltura, era dovuta passare al “sette”), a un certo punto della sua vita dunque, il tempo aveva preso a correre, i mesi erano diventati lunghi come giornate e le stagioni si alternavano serrate, lasciandole appena il tempo di fare il cambio del guardaroba.

E lei era stata costretta ad accelerare il passo, e nel giro di poco aveva smesso di tingersi i capelli (perché ormai erano di un bel bianco uniforme), e aveva scelto definitivamente di portare solo comode calzature con la pianta larga e un accenno di tacco appena.

Un sospiro le scappò dalle labbra. Così è la vita degli uomini, pensò: sono nati per affannarsi e intanto i loro giorni fuggono via. Meglio che fosse andata a dormire…

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