Agata e il manoscritto di Melchiorre

2,99

Formato: Epub, Kindle

Autore: Nicoletta Parigini

Note sull’autore

COD: ISBN 978-88-6690-108-2 Categoria: Tag:

Descrizione

Secondo volume delle avventure di Agata, un’adolescente intelligente e sensibile, che cresce con la nonna Lidia.

Un manoscritto che riappare, un nonno che scompare, un tesoro celato tra poche righe…

È passato solo qualche mese da quando le sue magiche scarpette da ballo hanno sorvolato Sabbiafine mettendo a scompiglio la città, e Lidia Corner è di nuovo al centro delle chiacchiere dei suoi concittadini. Si sta per sposare… con il giardiniere, il saggio e devoto amico Angus Miller.

Ma a pochi giorni dalle nozze, la tranquillità delle abitanti di casa Corner viene messa sottosopra da una visita inaspettata. E poi da un’altra e da un’altra ancora. Agata, turbata e indispettita per le nozze della nonna, si troverà a dover risolvere un altro mistero e a (ri)scoprire l’amore e l’affetto per la sua strana, sgangherata, meravigliosa famiglia.

INCIPIT

«Hai sentito la novità? La Corner si risposa!»

«Ma sì! E con il giardiniere!»

«Roba da matti!»

Così si sussurrava a Sabbiafine, una piccola città di mare, ora che la notizia del matrimonio di Lidia Corner cominciava a rimbalzare di bocca in bocca. E quando la gente la incrociava per strada, o la incontrava in pasticceria o dal fiorista, o la trovava in fila alle Poste, prendeva a parlarsi fitto fitto, scambiandosi gomitatine d’intesa e sguardi sornioni.

Ma Lidia non se ne curava, tanto c’era abituata. Sapeva che qualsiasi cosa lei facesse – lei che da giovane era stata una famosa ballerina classica, ed era reputata da tutti i Sabbiafinesi un tipo eccentrico- qualsiasi cosa facesse dunque, veniva vista con una buona dose di sospetto. Figurarsi un matrimonio in tarda età con un vedovo mezzo straniero che fino a quel giorno era stato il giardiniere di casa e che, si mormorava, fosse stato un suo spasimante ai tempi in cui era fidanzata con Oreste Minelli, il suo ex-marito.

Non è che fosse così ogni volta che incontrava qualcuno del paese: in molti l’avvicinavano per farle le proprie felicitazioni e Lidia non finiva mai di meravigliarsene. Qualcosa stava cambiando a Sabbiafine e, da qualche mese a quella parte, la maggioranza dei concittadini della signora Corner sembrava finalmente volerla prendere a benvolere. E tutto grazie alle sue vecchie scarpe da ballo…

Per parecchie settimane dopo che le scarpette avevano sorvolato il paese fino a esplodere in una cascata di luce a poche miglia dalla costa, i giornali e le televisioni di tutta la nazione avevano descritto e mandato filmati della splendida spiaggia di Sabbiafine, della graziosa piazza principale e della facciata di casa Corner.

La notizia aveva avuto tale risonanza che c’era stato un boom di gitarelle della domenica e qualche hotel aveva addirittura optato per un’apertura invernale nei week-end. E le prenotazioni per la prossima stagione balneare fioccavano. Sabbiafine, finalmente, sembrava aver guadagnato quella notorietà che i suoi amministratori da sempre avevano cercato invano con soggiorni a prezzo speciale e costosa pubblicità sulle reti televisive, e i Sabbiafinesi, grazie a quella vicenda, avevano a disposizione un’illimitata quantità di argomenti di conversazione.

Lidia, per contro, si era chiusa in un impenetrabile silenzio stampa: lei di celebrità ne aveva avuta abbastanza da giovane, ora che sfiorava la settantina preferiva starsene tranquilla.

E poi che cosa poteva importarle della folla curiosa quando lei, di lì a pochi giorni, si sarebbe sposata? È vero che non sarebbe stata una sposina novella ma un matrimonio è sempre un matrimonio! Trovare il signor Miller, che ora chiamava fra sé “il caro Angus”, a dividere con lei e Agata la prima colazione non era certo cosa da poco!

Non vedeva l’ora tornasse dal suo viaggio in Olanda: era andato a dare la notizia delle nozze ai suoi parenti, e a ordinare personalmente uno specialissimo bouquet per la sposa…

In quel momento suonò il campanello. Lidia, con il cuore che sussultava, si destò dalle sue deliziose meditazioni e andò alla porta.

Quando aprì, si trovò dinnanzi lui, con una valigia in mano e un gran mazzo di fiori nell’altra, e rimase senza parole.

L’uomo, in un attimo, infilò la valigia oltre la porta e le gettò le braccia attorno al collo.

***

Agata guardava il suo riflesso sul finestrino del pullman che la riportava a casa.

Li avevano portati, lei e la sua classe, a visitare una vecchia fabbrica di tessuti. Era archeologia industriale, aveva detto la prof di storia con gli occhi lustri per l’emozione. La prima fabbrica nata in Italia, nel millesettecentoecceteraeccetera. Così, avevano trascorso un’intera giornata saltellando tra un macchinario a vapore, i quartieri degli operai e l’ufficio dell’ultimo direttore, mentre un ometto entusiasta raccontava loro aneddoti, storielle e particolari tecnici. Quasi che si trattasse di uno stabilimento chiuso per il riposo settimanale, e il direttore e gli operai e le macchine, non fossero soltanto fantasmi di un tempo lontano.

Ma forse era stata solo la pioggia a farle sembrare tutto così malinconico. Così muto, così privo di vita. Un rudere caricato di troppo significato. Complici le didascalie del percorso didattico e l’ometto entusiasta.

L’avrebbe dovuto scrivere nel tema “Parla della visita d’istruzione alla vecchia Fabbrica di Tessuti Spiritosanto”, che sicuramente lunedì le avrebbero assegnato? In fondo se nessuno le diceva la verità, la prof avrebbe organizzato quella stessa gita per le terze di ogni anno…

Ma forse no, forse erano solo le sue paturnie. Era solo l’imminenza della disgrazia. Meno di una settimana e sua nonna si sarebbe sposata; peggio di così stavano solo gli operai della rivoluzione industriale.

«Ci stai pensando anche adesso?» le disse Cecilia, che viaggiava accanto a lei, scuotendole leggermente il gomito. «Dico… al matrimonio!»

Agata mugugnò. Sapeva che Cecilia considerava il matrimonio la cosa più romantica che potesse capitare a un essere umano e il matrimonio della signora Corner, in particolare, il matrimonio più romantico di tutti i matrimoni di cui avesse avuto notizia. Quindi parlarne con lei era perfettamente inutile.

«Io credo che dovresti provare ad accettare…» tentò Cecilia, ma la prof la interruppe.

«Minelli preparati! Sei quasi arrivata.» gridò l’insegnante dall’altro capo del pullman. Per una volta Agata ringraziò di doversi separare dalla sua amica; radunò in fretta le sue cose e si preparò a scendere.

«Ci vediamo domani.» disse a Cecilia, che si stava alzando per farla passare.

L’autobus si fermò stridendo, Agata e Cecilia ondeggiarono. La porta si aprì con un sibilo e Agata scese rapidamente. Prima che l’autobus ripartisse, si voltò per salutare Cecilia e quasi andò a sbattere contro il muso di una lussuosa auto dalla targa straniera, tirata a lucido e parcheggiata vicino al cancello d’entrata di casa sua. Restò per un istante a contemplarla pensando distrattamente a chi potesse appartenere quell’automobile. Qualcuno dei suoi vicini doveva aver vinto la lotteria…

Percorse velocemente il lungo viale di casa, cominciava a piovere di nuovo. «Sono tornata!» esclamò aprendo il portone. La nonna non le rispose; Agata sentì la sua voce sussurrare intrecciandosi, fitta e lieve, a quella di un uomo.

Dovevano essere in biblioteca, lei e Miller. Quei due stavano bisbigliando in biblioteca: era naturale che non la sentissero…

Agata si sfilò la giacca e l’appese all’attaccapanni accanto a un cappotto che non aveva mai visto prima. Un morbido paltò di cashmere.

Lo accarezzò e mentre tastava quel tessuto soffice, si accorse dell’enorme mazzo di rose rosse sistemate sul mobiletto accanto all’ingresso.

Fu allora che fece due più due: i fiori doveva averli portati la stessa persona che aveva posteggiato la Jaguar davanti casa e appeso il cappotto cammello all’attaccapanni in entrata, e di certo quella persona non era il signor Miller. Non poteva essere il signor Miller: lui non portava rose rosse. Portava freesie, garofani, alstroemerie, narcisi, ellebori, e un mucchio di altre stramberie che coltivava nelle aiuole del suo giardino. E poi era uno che per muoversi in paese adoperava la bicicletta. E di solito indossava un vecchio, ispido, pastrano blu da marinaio: altro che cashmere color cammello!

Così andò dritta in biblioteca, la porta era socchiusa e lo sentì parlare: «Lidia, cerca di capirmi: Ernesto non ha mai fatto mistero della poca stima che nutre nei miei confronti, se mi presentassi alla sua porta non farei che irritarlo.

«Il nostro incontro avverrà in un’altra occasione: fidati, è meglio così.»

«Ma come posso non dirglielo, tu sei suo… Agata!» esclamò la nonna, interrompendo il discorso non appena vide sua nipote affacciarsi sulla porta.

Lidia si alzò e le venne incontro; aveva il naso rosso e gli occhi lucidi. Insieme a lei, le venne incontro un tizio sulla settantina con corti e curati baffetti bianchi che spiccavano sul viso abbronzato, perfettamente rasato e innaffiato di dopobarba costoso. Proprio il tipo che avrebbe indossato un cappotto di cashmere, guidato una macchina di lusso, e comprato rose rosse a mazzi da cinquanta.

«Sei arrivata giusto in tempo…» continuò la nonna. «Oggi il nonno pranza con noi.»

«Il nonno?» mormorò Agata di sasso, mentre Oreste Minelli, per tutta risposta, si stampava in faccia un sorriso galante.

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