Descrizione
In un paese al cuore della Valcuvia, per caso o per destino, s’incontrano un prete , una bibliotecaria, due donne in cerca di una svolta e un sessantenne, che quando ormai pensa d’essere al capolinea, proprio lì trova la sua casa.
Ma casa cos’è?
Un luogo, un tempo che ridia ali al desiderio, intrecci vite come fili, così che la metamorfosi si compia e dal bruco la farfalla spicchi libera in un soffio il suo volo.
* * *
Questo è un romanzo che parla di solidarietà e di lutto, della paura di percorrere nuovi sentieri ma anche della capacità di reinventarsi, di maternità e di amicizia, del superamento delle divergenze e del coraggio necessario per essere felici, per progettare un luogo da chiamare davvero “casa”.
INCIPIT
PROLOGO Dicembre 2022, Valcuvia, Cuveglio
È giorno d’équipe al centro d’ascolto, e sta a don Luca il compito di dare inizio all’incontro.
Con sé, in tasca, ha un foglio con un pensiero scritto ieri, un suo commento alle Beatitudini.
A lui piace che siano farina del suo sacco le riflessioni che propone, così come le prediche della domenica. Certo, si ispira alle letture che fa, ma poi preferisce trovarle da sé, le parole, lo fa sentire più coinvolto, più partecipe; spesso però il dubbio lo assale: farebbe bene, forse, a spendere in compiti più utili tutto il tempo, tanto, che dedica a scrivere, chinato e solo davanti allo schermo del p.c. Ma cercare le parole, in silenzio, lasciare che sorgano, da non saprebbe ben definire che luogo recondito di sé, fino ad accasarsi sul bianco della pagina, è il modo in cui meglio gli pare di poter pregare.
E poi, in fondo, Maria si è scelta la parte migliore, ha detto Gesù, quando, ospite in casa delle due sorelle, mentre Marta si affaccendava indaffarata, Maria, china in silenzio al suo fianco, lo ascoltava. Per don Luca, il tempo che dedica a scrivere, per lo più all’alba, subito dopo una frugale colazione, è la miglior parte della sua giornata, o meglio, è quella in cui più si sente in sintonia con sé. Ma gli costa anche tanta fatica e, comunque, le incombenze che gli spettano da fare, volente o nolente, sono così tante che spesso non lo fa.
Questa volta, però, lo scritto piegato in tasca lui ce l’ha, ma gli è bastata un’occhiata alla copiosa pigna di cartellette, per destinare a tempi migliori il pensiero che aveva preparato, gli pare che per oggi un Padre Nostro basti e avanzi: che il regno su, venga giù e sia fatta la sua volontà. Ogni cartelletta infatti raccoglie una summa dei bisogni di chi è approdato al centro d’ascolto nelle ultime settimane e su cui oggi, insieme, sono qui per ragionare.
Le volontarie, tutte donne tranne lui, recitano la preghiera in coro, in piedi, stringendosi la mano, poi, sedutesi, Luisa, la coordinatrice del gruppo, apre la prima cartelletta della pigna, scartabella tra i fogli in cerca del verbale dell’ultimo colloquio e legge:
«Sara si è presentata con il suo bambino di cinque o sei mesi, che ha tenuto in braccio per tutto il tempo del colloquio; una meraviglia di bimbo, paffuto e tranquillo, che sarebbe potuto non nascere!» Subito una delle volontarie la interrompe: «Che significa questa frase, Luisa?! Forse capiamo meglio se chi l’ha ascoltata ci racconta quel che ha detto, invece di leggere il verbale, dovremmo proprio impegnarci a scriverli meglio questi resoconti!» E Luisa:
«Io e Giulia abbiamo ascoltato Sara, e non è che lei abbia detto molto in verità, probabilmente ha accettato di venire da noi solo perché glielo hanno proposto le volontarie del centro antiviolenza; il fatto è che lì, nella casa rifugio dove l’hanno accolta e protetta fino a ora, non può più stare, pare infatti che non sia più in pericolo di vita, hanno delle regole, e ora è tempo che trovi un’altra abitazione e un lavoro per mantenersi, perciò l’hanno inviata da noi pensando che potessimo aiutarla».
«Quindi in sostanza ci chiede una casa e un lavoro, come se qui avessimo una bacchetta magica! Spero non l’abbiano illusa troppo quelle volontarie, ma cosa sappiamo di lei?» la incalza l’altra.
«Quel che hanno detto le volontarie del centro antiviolenza al telefono, quando hanno fissato l’appuntamento: è scappata da un compagno violento e si è rivolta a loro, ha vissuto in una casa rifugio per questi mesi, nel frattempo è nato il bambino, ma ora deve riprendere in mano la sua vita, trovare un lavoro, una casa.»
E l’altra volontaria che era presente al colloquio aggiunge:
«Prima lavorava insieme al compagno nella loro azienda agricola, e tutto quel che ci ha detto di sé è proprio quanto le piacesse quel lavoro. Non ha parlato molto, in effetti, mi è parsa riservata, ma anche fiera, quasi si sentisse a disagio per essere lì. Stava molto attenta al bambino, rivolgeva lo sguardo più a lui che a noi. E non le abbiamo fatto molte domande, non abbiamo osato».
«Certo. E non ha una famiglia? Qualche amico se non altro, che possa ospitarla? Immagino di no in effetti, se è venuta da noi…» aggiunge un’altra.
E Luisa: «Potremmo invitarla a un altro colloquio, capire meglio, comunque sia noi non siamo un’agenzia immobiliare, non abbiamo una casa da offrirle, però chissà che magari non ci venga in mente qualcuno che ce l’abbia, noi potremmo pagare qualche rata d’affitto per i primi mesi, intanto poi chissà che non ingrani con il lavoro…»
Le donne in cerchio si scambiano sguardi d’intesa e annuiscono, don Luca prende un respiro profondo e intanto pensa, passa in rassegna i suoi parrocchiani, se c’è qualcuno a cui potrebbe chiedere. Ci vuole un certo ardire ad avanzare tali richieste, ma in fondo non lo fa per se stesso e questo gli dà coraggio.
Non è facile, certo, ma nemmeno impossibile. Si tratta di aver fiducia, pensa, e osare, darsi da fare a chiedere, scovare.
Sospira alla vista di tutte le altre cartellette, ci vorrà almeno qualche ora per passarle tutte in rassegna, ciascuna una storia con i suoi bisogni e le sue richieste, e non sempre queste ultime coincidono coi primi: qui sta l’arte dell’ascolto, nel saper leggere tra le righe e cogliere il non detto, spesso assai diverso dalle parole pronunciate.
Spera, don Luca, che le storie raccolte nelle altre cartellette raccontino di bisogni più semplici da affrontare, ma ne dubita: ogni plico una vita.
Pensa sia una goccia nel mare quel che riescono a fare, eppure vuole continuare, non può esimersi dal compito di provare ad ascoltare e aiutare; lui e le volontarie sono qui a nome dell’intera comunità, dunque non sono soli, o meglio, non dovrebbero esserlo, eppure mentre la pensa, la sente sciogliersi in bocca questa parola, comunità, come una caramella che si gira e rigira tra i denti e poi scompare, vezzo fugace, consolazione dall’amara realtà.
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