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Fava Kociss

Sono nato nel 1976, in un lembo di pianura che portava allora il nome gentile e prestigioso di “Le tre Venezie”. Denominazione naufragata, assieme all’intera civiltà contadina.
Ho fatto in tempo a conoscere le fatiche dei campi, conservate nei palmi delle mani dei miei nonni.
Quel cuoio spesso e pieno di solchi fu il primo libro che lessi: autobiografie di vite trascorse al sole, di tradizioni, feste paesane e leggende che ora sono nell’ombra.
Ricordo il pollame, i conigli allevati per nutrimento, i terreni coltivati a mais e quelli a fienagione.
Mi è capitato di contribuire, per quello che può un bambino, alla nascita di alcuni vitelli nella stalla che ora, dopo ristrutturazione, è la mia abitazione.
Nei primi anni non ho conosicuto libri, in casa non ce n’erano.
I miei si erano trasferiti dai nonni paterni dopo essere sopravvissuti a un incendio in cui era andato perso quasi tutto tranne la pelle.
Per il quinto compleanno arrivò un volume illustrato sugli animali “Ai poli del mondo” e scoppiò la passione per la natura.
I campi e le siepi confinanti costituirono un terreno di scoperta incredibilmente ricco di vita per un piccolo naturalista in calzoni corti e cappello di paglia.
Ritenni la mia sfera intellettuale appagata finché, casualmente, verso i dieci anni ci fu la scoperta di alcuni autori, Buzzati e Hesse tra tutti.
In casa cominciarono ad arrivare i primi libri che compravo con non ricordo quali soldi.
Da allora la lettura mi ha sempre accompagnato ed è l’unico filo che collega la mia infanzia con l’età adulta.
Forse per sdebitarmi di  tanta gioia ricevuta, ho cominciato  a sentire l’impulso di scrivere anch’io.
Piccoli racconti, testi brevi.
Nessuna ambizione, se non quella di dar corpo a storie che per me avessero un significato.
La mia vita familiare compì un balzo in avanti quando, dopo aver girato mezz’ Europa per studio o per lavoro, incontrai e sposai una dolce ragazza del mio paese.
Dopo sei mesi aspettavamo un figlio.
Conosceva il mio vezzo di buttar giù righe sghembe.
Una sera seduta sul divano, nel luogo esatto dove era collocata la vecchia mangiatoia, mi chiese di scrivere una storia per nostro figlio.
Da leggere quando fosse giunto a destinazione.
Ci pensai su e ritenni che fosse più interessante ascoltare la storia che nostro figlio aveva da raccontarci, mentre giorno dopo giorno cresceva nel suo ventre. Così è nata mia figlia e anche Una specie di solletico.