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6° Puntata

Fu costretto a prendere in fretta la sua decisione: Gioele ferito lo avrebbe rallentato. Per scongiurare il rischio di essere catturati entrambi, anche se a malincuore, doveva lasciarlo indietro. L’unica cosa che poteva fare era cercare di nasconderlo.

«Devo spostarti da qui. Ti farà male, ma cerca di non urlare» lo avvisò, con un sussurro.

Senza attendere la risposta, afferrò Gioele da dietro le spalle e lo trascinò al riparo di un robusto albero, cercando di tenersi basso per non farsi notare dai due inseguitori. Il ragazzo resistette stoicamente all’impulso di gridare.

«Adesso cosa facciamo, non mi lascerai mica qui vero?» chiese Gioele, con il volto deformato da una smorfia di dolore.

«Ascolta: l’unica possibilità di cavarcela e uscirne vivi è trovare qualcuno che ci aiuti e chiami i soccorsi. Capisci? Se riesco a entrare nell’agriturismo posso recuperare un telefono e chiamare.» Nel dire questa frase Lucio aveva preso la testa di Gioele tra le mani e lo aveva fissato dritto negli occhi.

«Sì, ma…».

«Stai tranquillo, so quello che faccio, fidati di me. Entro, trovo un telefono e torno a prenderti. Poi ci nascondiamo fino all’arrivo della cavalleria. Ok?»

Gioele lo fissò con aria sconsolata, ma determinata. «Va bene. È l’unica soluzione.» Il ragazzo consegnò il coltello di Leone che suo padre gli aveva affidato. «Stai attento, io ti aspetto qui. Tanto non mi muovo…» concluse, accennando un mezzo sorriso per stemperare il clima di tensione.

«Torno il prima possibile!»

Lucio si inoltrò di nuovo nel bosco, scomparendo velocemente alla vista del ragazzo. Riuscì ad allontanarsi da Gioele senza farsi individuare e, dopo qualche minuto di cammino, arrivò in un punto in cui la vegetazione del bosco iniziava a diradarsi. Anche l’intensità della pioggia stava calando. Quando giunse nei pressi dell’agriturismo che stava cercando, la visione di due uomini sospetti gli fece balzare il cuore in gola: indossavano giubbotti sportivi e pantaloni cargo e, ignorando la pioggia battente che inzuppava i loro abiti, pattugliavano la zona nei pressi della struttura. Lucio era sicuro che fossero armati.

Devo provare a entrare dal retro, pensò.

Riprese la marcia nel bosco per aggirare l’edificio, sperando di non essere notato. Aveva fatto soltanto pochi metri quando un rumore lo fece irrigidire: era il suono di rami spezzati. La sua mano si affrettò a impugnare il coltello, mentre gli occhi cercavano di individuare la fonte del rumore. Sentì che il cuore aveva aumentato i battiti e si concentrò per abbassare la frequenza. Ancora quel suono, sempre più vicino, tra i cespugli, alla sua sinistra. Lucio si girò di scatto e sfoderò il coltello puntandolo in avanti. Un grosso cervo fece un balzo indietro, fissò Lucio per un attimo e si allontanò correndo tra gli alberi.

«Porca trota! Mi hai fatto perdere dieci anni di vita!» sfogò la sua rabbia, mormorando a denti stretti, poi riprese il cammino tra le fronde per aggirare l’edificio. Restava basso e piegato sulle ginocchia, concentrato al massimo. In pochi minuti raggiunse il retro dell’agriturismo. Un altro di quegli individui si stava aggirando nei pressi di una corposa catasta di legna coperta da un telo. Il suo piano era andato in fumo, doveva trovare un’alternativa alla svelta. Pensò che sarebbe potuto tornare nel bosco per provare a raggiungere un’azienda agricola distante meno di un chilometro da dove si trovava. Il problema era rappresentato dagli uomini che lo stavano cercando: ogni minuto che passava aumentavano le probabilità che trovassero lui o Gioele.

No, devo arrivare al più presto a un telefono.

Forse, mettendo a frutto ciò che aveva imparato giocando a softair, poteva riuscire a entrare nell’edificio senza essere visto.

E se mi scopre? rimuginò.

Lucio guardò il coltello che stringeva in mano. Avrebbe avuto il coraggio di usarlo? Uccidere un uomo con un coltello non era facile come si vede nei film, lo sapeva, e il potenziale avversario era sicuramente armato di pistola e addestrato a usarla.

Non avrei scampo contro una pistola.

Il panico iniziò a crescere nella forma di una morsa alla bocca dello stomaco. Stava per tornare sui suoi passi quando gli venne un’idea: poteva giocarsela d’astuzia. Il piano era rischioso, ma poteva funzionare.

Uscì di soppiatto dal bosco e avanzò con cautela fino al mucchio di legna. Dal punto in cui si trovava, l’uomo di guardia non aveva la visuale sul suo movimento. Raggiunta la catasta, Lucio tirò un sospiro di sollievo. Ora però arrivava la parte difficile del suo piano.

Mi ci vorrebbe una sigaretta.

Doveva farsi coraggio: infilò le mani nella tasca della giacca e uscì dal suo riparo. Il vento trasportò fino alle sue narici il gradevole profumo di minestra proveniente dall’edificio. L’uomo si accorse subito di lui e istintivamente portò la mano alla pistola, fissata al pantalone con una fondina interna.

Comportandosi come se fosse il proprietario dell’attività, Lucio avanzò deciso verso l’uomo. Si augurò che Leone non gli avesse fornito una sua descrizione dettagliata. «Ehi, cosa ci fa lei nella mia proprietà?» urlò, augurandosi di attirare l’attenzione dei veri proprietari.

L’uomo non rispose, dando segno di essere stato colto alla sprovvista.

«Sto parlando con lei. Questa è una proprietà privata!» lo incalzò Lucio, continuando ad avanzare.

L’uomo allontanò la mano dalla pistola e sfoderò un sorriso cordiale. «Lei è il proprietario?»

«Certo che lo sono, a meno che non sia cambiato qualcosa negli ultimi dieci secondi.» Lucio sorprese sé stesso per come stava gestendo la situazione. Un’inaspettata sensazione di sicurezza stava rapidamente sostituendo la paura. Immaginò che il tizio fosse certo di poter risolvere tutto con una menzogna.

«Salve, sono l’ispettore Esposito della Polizia di Stato. Mi scuso per averla allarmata, ma sono qui con dei colleghi per un’operazione delicata. Anzi, forse potrebbe darmi una mano.»

«C’è qualche problema con la mia proprietà?» domandò Lucio, fingendosi allarmato.

«No, non riguarda la sua proprietà» si affrettò a precisare il finto poliziotto. «Stiamo cercando alcuni criminali in zona.»

Lucio era ormai a pochi passi dall’uomo, i cui capelli scuri erano zuppi di pioggia e ricadevano a ciocche sulla fronte spaziosa. «Criminali? Ma sono pericolosi?»

«Stia tranquillo, io e altri colleghi ci stiamo occupando della questione. Lei non è che ha visto qualche movimento sospetto negli ultimi minuti?»

«No, nessuno.»

Uno smartphone vibrò in quel momento. «Mi scusi solo un momento». L’uomo aprì una tasca del giaccone e recuperò l’apparecchio, poi toccò l’icona per rispondere. «Sì?»

«Beppe, il proprietario dell’agriturismo si è accorto di noi. Salvatore ci sta parlando per calmarlo.»

Beppe fissò Lucio socchiudendo gli occhi. «Ah, sì?»

Il telefono aveva un volume piuttosto alto e, nel silenzio del bosco, le parole dell’interlocutore del falso poliziotto erano risuonate forti e chiare. Senza dare all’uomo il tempo di prendere l’iniziativa, Lucio lo colpì con un pugno all’angolo della mandibola usando tutta la forza delle sue potenti braccia. Beppe lasciò cadere lo smartphone a terra. Nonostante la potenza del pugno, sopportò il colpo come un pugile esperto e reagì sferrando a sua volta un diretto al volto dell’avversario. Lucio indietreggiò di un paio di passi.

«Vuoi giocare? Ti accontento subito!»

Beppe piazzò altri due veloci diretti di media potenza, sembrava aver voglia di divertirsi. Annaspando, Lucio provò ad assestare un gancio, ma Beppe lo evitò con agilità, abbassandosi. «Troppo lento…» lo canzonò.

Dopo aver incassato altri due jab in pieno volto Lucio finì a terra, stordito.

«Allora, coglioncello, ne hai abbastanza?» Beppe sferrò un calcio allo stomaco di Lucio, facendolo raggomitolare. Una risata divertita uscì dalla bocca del finto poliziotto. Radunando ciò che gli rimaneva delle sue forze, Lucio infilò una mano in tasca senza farsi notare e tirò fuori il coltello. Con una mossa fulminea piantò la lama nel polpaccio di Beppe, facendolo urlare di dolore. Lucio lasciò il coltello nella ferita e agganciò le gambe del finto poliziotto, riuscendo ad atterrarlo. Si mise a cavalcioni su di lui e lo tempestò di potenti pugni al volto. Ormai, aveva il rivale in pugno, ma la vista di due figure in lontananza placò la sua furia: i colleghi di Beppe stavano arrivando. Non aveva tempo da perdere. Sollevò la giacca dell’avversario, ormai inerme, e gli sottrasse la pistola.

«Addio, stronzo!» si congedò, poi si alzò e prese a correre più velocemente che poteva verso il bosco. Uno degli inseguitori non perse tempo e aprì il fuoco con la sua pistola: i proiettili sfiorarono il fuggitivo e scheggiarono la catasta di legna.

Aiutato dalla buona sorte, Lucio riuscì a raggiungere gli alberi. Correva spostando i rami con una mano, mentre nell’altra teneva stretta la pistola sottratta a Beppe. Saltava radici e sfiorava i grossi tronchi di pino spinto dall’adrenalina che gli scorreva nelle vene. Decise che la cosa migliore da fare era allontanare gli inseguitori da Gioele, in questo modo almeno il ragazzo avrebbe avuto una possibilità di salvarsi. I proprietari dell’agriturismo a quel punto dovevano già aver chiamato le forze dell’ordine: i Carabinieri lo avrebbero sicuramente trovato e curato.

Devo solo resistere un altro po’ senza farmi beccare, pensò per darsi coraggio.

Dopo qualche secondo di riflessione puntò di nuovo con decisione verso il paese di Consonno, aumentando l’andatura: una volta arrivato avrebbe trovato un buon posto dove nascondersi e attendere l’arrivo dei soccorsi.

Posso farcela!

Un’improvvisa detonazione spazzò via il suo ottimismo e un attimo dopo proiettile lo mancò di pochi centimetri. Il colpo fece saltare alcuni pezzi di corteccia che gli si conficcarono dolorosamente nella guancia. Istintivamente si gettò a terra e rotolò di lato, nascondendosi dietro alla pianta. Quando fu al riparo si portò una mano al volto ed estrasse dalla carne una grossa scheggia di legno intrisa di sangue.

«Maledetta!»inveì Lucio, gettando via la scheggia. Non era una ferita grave ma la guancia gli bruciava come se fosse stata ustionata da un ferro rovente.

Lucio sapeva di non aver tempo da perdere: gli inseguitori erano ben addestrati e allenati, quindi non gli era servito molto tempo per recuperare terreno. Il fuggitivo decise che era venuto il momento di passare al contrattacco: si mise in ginocchio e fece partire una rapida serie di colpi nella direzione dei suoi inseguitori, che si misero al riparo e immediatamente risposero al fuoco. Lucio avvertì gli schiocchi secchi della cordite che esplodeva nelle camere di scoppio delle pistole dei suoi avversari e quasi contemporaneamente un paio di sibili vicinissimi alla sua testa.

Questi mi ammazzano!

Nel tentativo di offrire un bersaglio minore, si sdraiò a terra in mezzo al fango del sottobosco. La mimetica che indossava gli permetteva di confondersi nella vegetazione, al contrario degli abiti degli inseguitori. Il giaccone beige di uno dei due era infatti ben visibile agli occhi di Lucio. Trattenendo il fiato per stabilizzare la mano, prese la mira e tirò il grilletto tre volte, in rapida sequenza. Un grido di dolore gli confermò che aveva fatto centro con l’ultimo proiettile.

«Porca trota! L’ho preso!».

Il compare del ferito rispose al fuoco alla cieca. Ancora incredulo per il risultato ottenuto, Lucio ne approfittò per allontanarsi, non visto, in direzione del paese.

Gioele cercava con tutte le forze di rimanere sveglio. Il dolore gli era d’aiuto, ma doveva lottare con un senso di spossatezza che sembrava aumentare ogni minuto e gli toglieva progressivamente quel poco di lucidità che ancora gli era rimasta. Il ragazzo si puntellò sulle braccia usando le mani, che sprofondarono appena nel terreno molle riempiendosi di foglie e terra. Era preoccupato per gli spari che aveva sentito poco prima: era quasi sicuro che quei criminali avessero ucciso Lucio. Cercò di sollevarsi per appoggiarsi meglio all’albero e il movimento gli procurò una sferzata di dolore nella gamba straziata, che lo fece imprecare a denti stretti.

«Ciao, ragazzino!»

La voce alle sue spalle gli fece gelare il sangue nelle vene. Si voltò e si trovò di fronte due degli uomini di Leone, che lo tenevano sotto tiro con le loro pistole, i silenziatori montati sulle canne.

«Con quella bella mimetica quasi non riuscivano a trovarti» commentò Gianni.

«Sembra un gattino indifeso» lo schernì Roberto, con un sorrisetto sarcastico stampato sul volto.

Gioele, nonostante fosse ormai quasi privo di energie, si sforzò di mostrare un’espressione battagliera. «Dov’è Lucio? Cosa gli avete fatto?»

«I nostri amici si stanno occupando di lui. È davvero un osso duro quel bastardo» gli rispose Gianni.

Un barlume di speranza si accese nell’animo di Gioele: forse Lucio era ancora vivo. «Qualcuno avrà sentito gli spari. Tra poco arriveranno i Carabinieri e vi arresteranno» lo sfidò il ragazzo.

«Chiudi la bocca o ti taglio la lingua!» ribatté Roberto. Poi, parlando al telefono tramite l’auricolare, disse: «Leone da Roberto: abbiamo il ragazzino.»

«Bene. Portatelo subito da me» rispose Leone.

«Arriviamo.»

Quattro braccia sollevarono Gioele da terra come un fuscello, senza tanti convenevoli, strappandogli un acuto grido di dolore.

«Forza, ragazzino. È ora di tornare da papà.»

Con la mano spostò alcune foglie da sotto un piccolo pino e raccolse un porcino grande e sodo.

Finalmente! Eccoti qua, che spettacolo! pensò Marcello Ricci, ex maresciallo dei Carabinieri fresco di pensionamento, mentre depositava il fungo nel cesto accanto agli altri. Aveva appena appoggiato il fungo quando sentì l’inconfondibile rumore degli spari.

«Ma che cazz…» Si girò abbassandosi d’istinto: non era il rumore di un fucile da caccia, che comunque in quel periodo era chiusa. Si trattava chiaramente di colpi di pistola. Un brivido freddo gli percorse la schiena.

Che diavolo sta succedendo?

In un primo momento ipotizzò che potesse trattarsi di qualche giocatore di softair, non era infrequente trovarli in quei boschi la domenica. Scartò subito l’idea perché le loro armi non producevano quel rumore.

Deciso a scoprire di cosa si trattasse, appoggiò il cesto a terra e lo coprì con alcuni rami poi si incamminò, tenendosi basso, nella direzione da cui provenivano gli spari. La scena a cui assistette lo fece gettare d’istinto in mezzo alla vegetazione: due persone stavano trascinando un giovane che sembrava ferito. I due uomini, entrambi dal portamento militare, non sembravano di certo dei soccorritori.

«Siete dei bastardi, cosa avete fatto a mio padre e mio zio?» chiese il ragazzo.

Uno dei suoi aguzzini estrasse la pistola e gliela puntò alla testa: «Chiudi quella cazzo di bocca ragazzo, capito? Ultimo avvertimento!»

All’ex carabiniere non occorreva altro per capire che stava accadendo qualcosa di estremamente preoccupante. Attese che il terzetto si allontanasse prima di tirare fuori lo smartphone dalla tasca. Con pochi gesti sicuri compose il numero del comandante della stazione dei Carabinieri di Olginate.

«Ciao pensionato! Come va? Sei sempre a funghi da quello che metti su Facebook!» gli rispose una voce allegra.

«Alberto, ascoltami bene: sta succedendo qualcosa di grave. Sono nel bosco di Consonno.»

Ricci, ottenuta l’attenzione dell’ex collega, gli raccontò ciò che aveva appena visto.

Lucio arrivò sano e salvo al paese. Continuò a correre cercando di non scivolare sull’asfalto bagnato. Tra la pioggia precedente e lo sforzo fisico era fradicio, il cuore pompava così forte che sembrava sul punto di saltare fuori dal suo petto. Mentre correva in direzione di un edificio abbandonato, girò velocemente la testa all’indietro per cercare i suoi inseguitori e, non vedendo nessuno, ipotizzò di aver guadagnato un buon vantaggio. Puntò verso un caseggiato dall’aspetto fatiscente come il resto degli edifici di Consonno: mancava la porta all’ingresso, le finestre erano prive di vetri e l’intonaco era sbrecciato e cadente. Entrò dentro e trovò una stanza poco distante dall’ingresso, piccola ma dotata di una via di fuga rappresentata da una finestra aperta i cui vetri, ridotti a pezzi, giacevano sul pavimento coperto di uno strato di sporcizia decennale. Una vecchia porta era rimasta in piedi come per miracolo. Lucio la chiuse producendo un lieve cigolio. Dovette fare attenzione al pavimento che in alcuni punti era collassato, creando dei buchi dalla forma irregolare. L’aria era carica del tanfo della muffa. Stremato e affannato, si sedette per riprendere fiato, appoggiando la schiena a una parete e tenendo la pistola puntata verso l’ingresso della stanza. Se qualcuno fosse entrato da quella parte lo avrebbe ammazzato senza pensarci due volte.

Trascorse un tempo che non avrebbe saputo quantificare, prima che avvertisse lo scricchiolio delle suole vibram prodotte da un paio di stivaletti tattici. I passi erano vicini, troppo vicini. Il suo cuore ricominciò ad aumentare la frequenza dei battiti. Facendo il possibile per non fare rumore, si alzò in piedi. Fino a un momento prima era stato sicuro di sparare a chiunque fosse entrato nella stanza ma tuttavia, ora, non era più così sicuro di farcela.

E se sono troppo lento? rimuginò.

Lanciò uno sguardo alla finestra che si trovava a pochi passi da lui e considerò che forse aveva ancora tempo per riuscire a fuggire in silenzio. I passi erano sempre più vicini. Che fare? Combattere o fuggire?

Scelta 1: combatte.

Scelta 2: fugge.